FIRENZE. La montagna di (in)formazioni che sovrasta la rappresentazione, utili a svelare la struttura concentrica, ma centrifuga, dello spettacolo, è il magma che serve ai Premi, Ubu su tutti, per classificare e/o declassare un’opera, il suo autore e la sua scuola/dottrina. Roberto Latini è già, da tempo, nel cerchio degli illuminati e questa Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? altro non è, non per riduzione, ma per consacrazione, un’altra pagina indelebile della sua produzione, affidata, sul palcoscenico del Cantiere Florida, a Firenze, a una sua creazione, reincarnazione metempsicotica, l’acrobata PierGiuseppe di Tanno. Che a differenza, addizionale, non sottrattiva, di Mangiafuoco, oltre alle mani, usa anche i piedi, per la precisione i dieci alluci. Lo fa su un piedistallo che non si muove a sì spirar di vento, in consolidato equilibrio, un palco sul palco, sottolineando, già dai presupposti, che si tratterà di metateatro, a livello puro, cristallino, prendendo in prestito, con la consapevolezza di renderlo a Luigi Pirandello, il proprietario, Sei personaggi in cerca d’autore, che per materializzarsi alla bisogna chiedono lumi e venia al loro misterioso fratello, il settimo, che è mascherato, con la figura di un teschio, come Amleto (?), o Kriminal (?), ma anche di un pagliaccio, se preferite;

l’equazione non cambia, comunque, se il retaggio sia anglosassone o statunitense: la fine, è la stessa, ma non solo per lui, per tutti. Il Teatro pullula di affezionati, tanto al creatore, quanto al creato, che poi, come tutti i figli legittimi, somiglia maledettamente a suo padre, o sua madre, come volete. Il rapporto con Pirandello è fissato dalla parola, dalle parole, quelle che il capocomico scandisce con tutti i suoi attori, con tutti i suoi protagonisti. Sono conversazioni ginniche, verticali e accucciate, in barba alla pressione sanguigna, che è perfettamente regolata dal fisico, statuario, del protagonista, un Bronzo di Riace che ha ridotto all’essenziale la propria massa muscolare, evidenziando lo stretto, magnifico, indispensabile. Sono colloqui di vite già abbondantemente iniziate, anche quella della bambina, felicemente intrappolata tra il giardino e la vasca, che comunque è finta e non ci si può annegare, a meno che non lo si voglia e a meno che l’acqua non decida di andare da Maometto, e ucciderlo. Le unghie, delle mani e dei piedi, sono tinte di bronzo lucente; i capelli sono solo il ciuffo che si sorregge solo sulla nuca, ma che alla necessità risponde come una chioma da diva degli anni ’60, una Marylin Monroe a caso, che è quella che chiude il monologo nella vasca, finalmente ricca di sapone e soprattutto di bolle, tante bolle e schiuma, tanta schiuma. Una canottiera sbrindellata, che nasconde quanto non può e non deve bastare la simmetria toracica del condottiero esalta gli arti inferiori, protetti da pantaloni neri, attillatissimi e plastificati, che sono quelli che proteggono l’unico rappresentante teatrale, il delegato sindacalae, sociale, umorale dei sei personaggi, di tutti gli altri personaggi, che sono dietro il fondale bianco da tergo illuminato e saltuariamente reso vivo e refrigerato da una potente ventola. Ma per i Sette personaggi in cerca di loro stessi, perché un autore l’han già trovato, anzi, più d’uno, a essere onesti, Roberto Latini, oltre che aver modellato a sua immagine, somiglianza e recitazione PierGiuseppe di Tanno, si è per forza di cose dovuto avvalere della musica di Gianluca Misiti e delle coreografie di Max Mugnai, che sono parte di quel progetto che risponde al nome di Fortebraccio Teatro, che di Premi, Ubu su tutti, ne fa sistematicamente incetta.

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