AGLIANA (PT). Chiunque, a Genova, decida di voler far ridere, con una semplice battuta, una barzelletta, ma anche di professione, deve fare i conti con due mostri sacri della città della Lanterna: Gilberto Govi e Paolo Villaggio. Il primo, seppur vagamente cinico (soprattutto con la sua immancabile e insostituibile moglie Luigia), è pur sempre stato una macchietta meravigliosa, con quella faccia inconfondibile, la stessa che sempre sul mar Tirreno, ma a centinaia di chilometri più a Sud, lo è stato Eduardo per i napoletani, in un teatro di cabarettisti e intrattenitori sopraffini, che non avevano alcun bisogno di ricorrere mai alle volgarità, per suscitare ilari e robusti consensi. Il secondo, invece, ha letteralmente rivoluzionato il modo di ridere, travolgendo in modo sadomasochistico i pochi pregi e gli innumerevoli vizi dell’italiano medio, senza confidare nella melodica musicalità del proprio slang, ma adducendone nuove, tragiche, letali. Anche Tullio Solenghi è genovese e di essere un discendente doc di quella scuola popolare ne va fiero, tanto che da qualche tempo gira i teatri dell’Italia portando in scena Una serata pazzesca,

un quasi reading per parlarci della sua lunga carriera di comico, al fianco di Massimo Lopez e Anna Marchesini, principalmente, passando dagli esordi incerti in compagnia di un altro irriverente onemanshow, Beppe Grillo (a noi piaceva moltissimo, ai tempi delle sue tragicomiche denunce; non ci dispiace affatto nemmeno da quando ha traghettato la sua vis dal palcoscenico alla politica, comunque), ma anche e soprattutto per svelarci la faccia bibliografica di Fracchia, del ragionier Ugo Fantozzi e di tutti quei personaggi che catapultarono Paolo Villaggio, in letterale controtendenza, al successo televisivo prima e cinematografico dopo, trasformandolo nella maschera più gradevolmente cinica che ci fosse mai stata fino ad allora, sfruttata oltre ogni ragionevole ingordigia dal piccolo schermo, con parsimonia dalla carta stampata e forse a senso unico e claustrofobico sul grande schermo. Ne parliamo perché nel suo tour, Tullio Solenghi, ha fatto tappa, l’altra sera, al Teatro Moderno di Agliana, semplicemente accompagnato dal suo leggio e la sua voglia, misurata, come tutti i genovesi che si ripettino, del resto, di raccontarsi e raccontare, suscitando, ma senza ansie da prestazione, qualche sana risata, a patto che il pubblico lo voglia; e ad Agliana, nessuno ha deciso di sottrarsi alla regola del buonumore. Lo ha fatto raccontando aneddoti, curiosità, leggendo passi delle sue pubblicazioni (negli anni ’70 i libri di Paolo Villaggio erano i volumi più letti degli autori italiani), con la sua voce da speaker, da crooner malizioso, da imitatore. Era un uomo difficile – ci ha confidato pochi minuti prima di andare in scena – con una scarsa, flebile, quasi inesistente diplomazia che con il trascorre degli anni si è andata inesorabilmente riducendo, trasformandolo in un vera e propria iena, incapace di riservare, a chiunque, parole di circostanza: era brutale, ma lo si era già capito quando iniziò a far ridere tutti. Una serata piacevole, anzi, piacevolissima, che chiude la stagione della prosa 2018-19 (proseguirà ancora con qualche appuntamento) di un longevo genovese mai pentito (Tullio Solenghi ha 71 anni, portati con una disinvoltura più che invidiabile) in onore di un genovese spudoratamente fiero e orgoglioso. Ricordando molti di quelli che, in un modo o in un altro, sono passati accanto a entrambi, trasformandoli, dati e successi alla mano, in due simpatiche, inesorabili, meravigliose canaglie.

Pin It