
PISTOIA. Serata difficile, onestamente e oggettivamente, con tutto il fascino che si deve e si è portato dietro, quella con la quale Il Funaro, una delle cose più belle capitate a Pistoia da quando è diventata Provincia, ha deciso di chiudere la stagione (che ha messo in mostra, come succede da quando è nata, cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare): la lectio magistralis di Piergiorgio Giacché, antropologo dello spettacolo, uno dei pochi estimatori di un filosofo che continua a subire l’ostracismo collettivo e inconsapevole delle masse, Aldo Capitini. E dire che all’inizio della rappresentazione eravamo convinti che la serata avrebbe avuto un andamento jazz, visto e considerato che il vate perugino che ci ha condotto per mano dal suo padre spirituale ha deciso di presentarsi al pubblico di spalle, stile Miles Davis. Che ci fossimo sbagliati lo abbiamo capito subito, però. Lo stare in piedi, davanti a un leggio nascosto dal corpo, sciorinando alcune note autobiografiche di uno dei più incisivi educatori antifascisti e nonviolenti d’Italia, è stato solo un encomiabile segno di rispetto, che qualsiasi nano farebbe bene ad avere nei confronti di un gigante come lui.
Ma la scarsa visibilità di Aldo Capitini si deve soprattutto alla sua incommensurabile dotta sensibilità, che gli ha permesso prima di chiunque altro di arrivare a conclusioni/inizi che nessun altro è riuscito a contemplare. A cominciare dal fatto che ognuno di noi si possa e debba riconoscere nel prossimo, perché senza l’altro, l’io, il tu, non può certo ambire a comprenderlo, a diventarlo. La circ/conferenza teatrale Verso Capitini, per un “colloquio corale”, questo il titolo della serata, si è concentrata proprio sulle riflessioni della poesia del pensiero, definizione quanto mai superba, coniata da Goffredo Fofi, per definire la strategia politica di Aldo Captini, con il quale si sono voluti misurare attori e musici a loro volta estasiati dalla coralità del pensiero dell’intellettuale umbro: Michele Bandini, Rita Frongia, Chiara Guidi, Maria Grazia Mandruzzato, Danio Manfredini, Ermanna Montanari, Claudio Morganti, Silvia Pasello, Francesco “Bolo” Rossini, Ares Tavolazzi, Ghedalia Tazartes, Stefano Vercelli, che hanno a loro volta interpretato le sollecitazioni intellettuali profuse al testo di Capitini da Pier Giuseppe Arcangeli, Massimiliano Burini, Stefano Cipiciani, Massimiliano Civica, Walter Cremonte, Bruna Filippi, Goffredo Fofi, Nicola Frattegiani, Maurizio Lupinelli, Marianna Masciolini, Marco Olivieri, Fabrizio Orlandi, Emiliano Pergolari, Claudio Ponzana, Magda Siti. Una poesia così aulica da potersi permettere il lusso di presentarsi senza musica, con una difficoltà chimica alla rappresentazione, in una circonferenza da metateatro nella quale potrebbe sfuggire il centro; non potrebbe essere altrimenti, forse, perché Aldo Capitini è stato veramente il cantore ufficiale e dunque non reclamizzato degli ultimi, dei dimenticati, dei derelitti, un cristiano che ha difeso, a oltranza, la propria laicità, un laico che non si è sottratto dal fare i conti con il Cristianesimo, così come la poesia spezza gli steccati e i confini e arriva laddove la voce, da sola, come strumento sensibile, non potrebbe giungere a destinazione, che è e lo sarà fino a quando il mondo deciderà di non precipitare, l’inizio, la partenza, la (ri)nascita. Un pensatore inevitabilmente ignorato dalle masse, Aldo Capitini, precursore dei cammini di pace (Perugia-Assisi è cosa che gli appartiene) e di quella politica attiva che oppone fisicamente la tolleranza e il rispetto alla violenza e alla guerra, un nonviolento pericolosissimo, perché colto, dotto, gentile e irremovibile, incapace di sottoscrivere compromessi; costi quel che costi. Un suggeritore di sommosse, planetario, arrivato a destinazione fin nella lontana Rosario, quando indusse, forse inconsapevolmente, ma anche no, a proposito della forza della poesia, il Comandante a partire per l’Avana: bisogna essere duri, senza mai perdere la tenerezza.
