PRATO. Parlarne, del capolavoro di Goethe, è difficile quanto metterlo in scena. Federico Tiezzi, regista e drammaturgo di Scene da Faust, in prima assoluta al Fabbricone di Prato (si replica oggi, alle 19,30 e domani, 19 maggio, alle 16,30), ci ha pensato una vita, prima di azzardare. Risultato? Per taluni, coraggioso, epico, con i fratelli/amanti Faust (Marco Foschi) e Mefistofele (Sandro Lombardi) a darsele di santa ragione, evidenziando, sistematicamente, l’acume delle offese e la grande capacità, di entrambi, di incassare colpi da ko e con la giovanissima Margherita, o Gretchen (Leda Kreider), a sugellare con il delirio e il triplice sacrificio (suo, della madre e del figlio) la coincidenziale scommessa fatta sulla sua pelle dal diavolo e l’acqua santa; per altri, invece, la commistione cinematografico-teatrale, da Kubrik a Latella, passando da Keanu Reeves, con Matrix (l’abbigliamento di Faust e Mefistofele lo ricorda, soprattutto in contrasto con il bianco asettico, chirurgico, del resto degli attori) non aggiunge, né ringiovanisce l’opera,

così come lo stuolo dei giovani aspiranti del Teatro Laboratorio (Dario Battaglia, Alessandro Burzotta, Nicasio Catanese, Valentina Elia, Fonte Fantasia, Francesca Gabucci, Ivan Graziano, Luca Tanganelli e Lorenzo Terenzi), nove scimmie, anziché dodici, utilizzati più come coristi o portantini asettici di un qualsiasi Day after non scalfiscono il triangolo Faust/Mefistofele/Gretchen. Stranamente, stavolta, ci troviamo nel mezzo, a difendere, a spada tratta, l’interpretazione dei tre protagonisti, con Sandro Lombardi (un Joker giethiano) a conferma di tutto il bello che ha fatto fino a oggi, un Marco Foschi superlativo e Leda Kreider coraggiosa e spudorata a rimbalzare dall’opera alla schizofrenia con estrema naturalezza. Senza permetterci il lusso di sondare, a fondo, l’idea della divinità senza la macchina, ma solo perché non crediamo ne valga la pena. Ai Faust già visti e applauditi, aggiungiamo anche questo, italianizzato da Fabrizio Sinisi, prodotto dal Teatro Metastasio di Prato, Compagnia Lombardi/Tiezzi, in collaborazione Fondazione Sistema/Toscana, Manifatture digitali Cinema Prato, Teatro Laboratorio della Toscana e Associazione teatrale pistoiese, e anche a questo battiamo le mani, ma sempre più convinti che non occorra farlo meglio, anche se paradossalmente si può e si potrebbe, ma che serva non farlo più, o farne altro. Certo, il banco di prova attoriale è uno di quelli che lavora ai fianchi, che non lascia respiro, che non concede pause e i tre mattatori, in ordine sparso, senza precedenze alfabetiche, né magnificenti, lo superano a pieni voti, esaltando, contemporaneamente, oltre la loro singola vis, anche l’oculata scelta del regista, che a parer nostro si è prodigato forse eccessivamente in una ricerca drammaturgica che alla fine, alla sostanza delle rivelazioni/conflitti/provocazioni, non ha aggiunto nulla, se non un apprezzabile colpo d’occhio, esaltato dallo specchio frammentato di Dio e la spudorata fica in prima fila di Courbet. Al plauso del pubblico più canuto, infatti, risponde la timidezza di quello più giovane, già distolto dal focus del teatro da una serie di incaute improvvisazioni alle quali, le direzioni artistiche, spesso, offrono inopportunamente, agio e spazi e al quale è meglio non porgere ulterioro motivi per inscenare una rivoluzione che, dando un'occhiata ai guerriglieri, si manifesterà, prima ancora di spargimenti di sangue, in tutta la sua inconsistenza.

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