di Raffaele Ferro

PISTOIA. Nel suo testo fondamentale Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe il grande psicanalista Bruno Bettelheim cita Schiller con una delle sue più significative frasi: C'è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nella verità qual è insegnata dalla vita. Questo per dire che l'usanza di reinterpretare, riscrivere, trasformare o, peggio ancora, spiegare le fiabe, da parte degli adulti, risulta essere sbagliato, se non propriamente dannoso, nei confronti dei bambini. Questo, nella bellissima opera teatrale Hans e Gret dell’onnivora Emma Dante, (che affida al marito, lo straordinario Carmine Maringola, le scene) in scena il 6 ottobre al teatro Bolognini, non è stato fatto. Un’impostazione semplice, un palcoscenico scarno, ma adornato in divenire, da un turbinio di colori e atmosfere, è stato il giusto fondale al realizzarsi di questo concetto espresso da Schiller e sviluppato con maestria da Bettelheim nel suo testo formativo per psicanalisti e psicoterapeuti. La favola di Hansel e Gretel, giocata magnificamente dalla giovane compagnia, ha incantato e divertito il pubblico per un'ora poco più di pura affabulazione.

La storia narrata con lineare fedeltà - se non per l'esclusione del passo in cui i due bimbi sperduti cercano di tornare per la seconda volta a casa traditi dalle molliche di pane scomparse, mangiate dagli uccellini - è stata arricchita, valorizzata, dal dialetto siciliano, vero transfert per calarsi nella tradizione antica, cara ad ogni paese. I cinque protagonisti (Manuela Boncaldo, Salvatore Cannova, Clara De Rose, Nunzia Lo Presti, Lorenzo Randazzo) hanno giocato, come detto, la fiaba, con precisione e allegria, padronanza attoriale e dimestichezza espressiva guidati dal testo perfetto e saporito di Emma Dante. Tra il pubblico, pochi bambini (forse per l'orario serale) ma molti adulti, in assorta e divertita meraviglia, che hanno assistito finalmente a uno spettacolo leggero e profondo al tempo stesso. Le vette espressive, fra il comico e il tragico, fra il grottesco e il sublime, raggiunte dai cinque protagonisti sono quelle difficili da raggiungere in un cosiddetto teatro per bambini. Le leve, gli argani, i meccanismi che il teatro impiega per smuovere e cullare al tempo stesso il pubblico sono servite proprio a ricondurre in una zona mentale/emozionale, propria del racconto di una fiaba e non nella rappresentazione. Solo Dario Fo, senza esagerare, c'è riuscito, dando vita al corpo e al volto, in una magia fiabesca e, come le fiabe esigono, grottesca, per arrivare alla meta, ossia al cuore-mente dello spettatore. Solo vedendo e ascoltando uno spettacolo del genere è possibile rendere correttamente l’idea di questo concetto, sminuito, ahivoi, dalle parole di questa trascrizione. Ma, come da privilegio, recensire è un po' rivivere quei momenti in cui bellezza, bravura e serio divertimento si sono coniugati con perfezione e maestria. Grande privilegio quello di poter vivere emozioni e atmosfere nette, schiette e sincere, sempre più rare, anche perché - tornando a Bettelheim -, troppo spesso si incappa in dysneizzazioni di fiabe e racconti, derive tecnologico-mediatiche, (tecnonazisticamente psicanalitiche). Spiegazioni e speculazioni adulte e adulterate della pura sostanza - che è parte stessa della storia e dell'evoluzione della coscienza umana - che nel teatro, quello buono, come anche nelle fiabe, vanno evitate. Proprio come fanno - anzi, come facciamo tutti quando siamo puri -  i bambini.

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