PISTOIA. Ha scritto molto, Jorn Riel, prossimo ai novant’anni, di ritorno dal suo ventennale giovanile esilio forzoso greonlandese. Storie e aneddoti di resistenze borderline, lontano da tutto e da tutti, solo con quella sparuta, anarchica e indisciplinata popolazione indigena, antesignana del concetto che presto, volente o nolente, dovremo per forza abbracciare, pena la nostra sopravvivenza: rinunciare a molte comodità. Gli Omini, con o senza Francesca Sarteanesi (che si è congedata dal gruppo con una toccante newsletter), anche prima di conoscere gli scritti del profeta danese, hanno da sempre fondato il loro teatro attorno alle storie degli ultimi, degli incompresi, dei derelitti, tra il serio e il faceto, tra il comico e il tragico. Stavolta, però, per questo primo di tre step di Circolo Popolare artico, vertigine polare, Prove di resistenza, (coprodotto dall’Associazione teatrale pistoiese) al Funaro di Pistoia in replica stasera e domani, 20 ottobre (ore 21), non ci hanno convinto: non siamo mai entrati in sintonia, non abbiamo avvertito, come è sempre successo nei loro precedenti spettacoli, il disagio e l’approssimazione di esistenze precarie, nonostante quelle della gente dei Fiordi lo siano per antonomasia.

I sorrisi non si sono trasformati in lacrime; la luce dopo il letargo non ci ha illuminato e rischiarato i dubbi; le incursioni di un abitante della zona, incappucciato e munito di racchette e pattine in legno per scivolare sul ghiaccio, son parse dettagli confusionari, buoni per la grigliata; le conversazioni con il gallo, da beckettiane e pasoliniane, si sono trasformate in cartoon della Pixar, così come le danze del tricheco, anche nella versione rock, perfettamente disegnato e dunque poco credibile. Prima di crocifiggerli però, aspettiamo, con ansia e pazienza, i due episodi successivi, La bufera (dal 7 al 9 novembre al Piccolo Teatro Bolognini di Pistoia) e La vergine fredda (dal 26 al 29 febbraio 2020 al Teatro Manzoni di Pistoia), a chiudere il cerchio. Il canovaccio è quello di sempre, con la presenza dei soliti artifizi scenografici ideati da Giulia Zacchini (l’Omina delle retrovie) e disegnati dalla burattinaia Eleonora Spezi che sembrano presi al mercatino dell’usato, dispiegato alla sala dal keatoniano Luca Zacchini, allievo, nella circostanza, del comandante Francesco Rotelli, capitano garibaldino di vascello che da buon nostromo pertiniano certifica razionalmente alla folla la necessità di trovare un’altra via. Che è quella che ognuno di noi, se escluso dalle bisettrici sociali consumistiche e per questo costretto a lunghissimi periodi di buio, deve per forza di cose cercare di praticare. L’alternativa è rappresentata dalla sola Greonlandia, terra di miti supereroi, uomini che vivono lungo le coste, sui fiordi, ai quali la costante rigidità atmosferica concede tregua dai ghiacciai, un tempo perenni, oggi in via di scioglimento, un improvvido riscaldamento della crosta che renderà quei posti meno fiabeschi e il resto della Terra un inferno invivibile. Dalla terra ferma, solo una volta l’anno arriva la nave dei rifornimenti: non porta parole, ma suggestioni e del resto, a bordo, non possono stare che tre uomini alla volta; troppo pochi per parlare di ripopolazione, ininfluenti, per eventuali sottrazioni. Sulla platea del Funaro però, gli spettatori, i soliti numerosissimi e fedelissimi estimatori della teatralità de Gli Omini, non hanno avvertito il nostro disagio: hanno riso sguaiatamente sul febbrile incedere semantico di Luca Zacchini (gran bella maschera, la sua) per poi liberare, con un fragoroso applauso, al termine dello spettacolo, tutta la tensione accumulata durante la rappresentazione.

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