di Raffaele Ferro

BORGO A BIGGIANO (PT). Una serie di sedie in plastica rossa, in fila; una sola di lato, in primo piano, sulla sinistra del palcoscenico vuoto. Sfondo nero. Rosso e nero, i colori sventolati dai primi anarchici; ci viene subito da pensare, più di un secolo fa, qua, nell'Italia del Nord. Maurizio Micheli, al teatro indipendente Buonalaprima – a Borgo a Buggiano, nella Valdinievole -, teatro, sì, ma anche laboratorio, fucina di spettacoli e soprattutto spazio artistico e culturale dove si respira una totale libertà di espressione, sceglie questa cornice/contenitore per vivere la realtà, o la sua trasposizione scenica, per interpretare il soggetto/oggetto del cittadino, il contribuente, il consumatore in fila, in attesa: a Equitalia. Soliloquio allegro non troppo - questo il titolo dello spettacolo, scritto e interpretato dal 72enne mattatore livornese adottato dalla Puglia -, centra in pieno il bersaglio del pretesto, la comicità tragica e aggiungeremmo noi, triste del rappresentare la quotidianità. Lui, mattatore e giocoliere dei dialetti, apre le chiuse della diga/testo in una verbalità inarrestabile, creando, come in una pseudo trance, uno status di sospensione del giudizio su debiti, multe, sanzioni e quant'altro accompagni il cittadino alle porte dell'inferno di Equitalia.

Quasi un Caronte in salsa proletaria, un Cicerone in compassata veste di povero (non poverissimo, ma povero, come dice lui) che compassato e ormai rassegnato, dialoga (in verità da buon moderno cittadino nevrotico, schizoide parla da solo) con false presenze in fila attendendo il proprio numero di chiamata. La fiumana di parole, la valanga di macchiette evocate dalla sua bravura collaudata, lo rende meno persona (maschera, in greco) di quanto egli sia nell'adesso del Momento Teatrale. Attinge, spalma, dipinge il fondale triste e scarno sia del palcoscenico che, come annunciato, del tema scelto. Non elogia, non rilecca, non glorifica questo tema, non sale sul fin troppo accessibile carrozzone dei comici TV di oggigiorno, bensì (aristocratico come un contadino) evita perfino di autocitarsi quando - e ci commuove - parlando della gente, dei cittadini, quelli ricchi e quelli poveri, usando l’assonanza con quelli famosi, evoca sì, proprio loro, il complesso cult caro alla musica italiana. Si perché tanti e tanti anni fa, infante, puro e tremendamente pugliese (lui nato a Livorno ma vissuto a Bari) usava urlare brunetta dei Ricchi e Poveri, ti voglio sposare! in uno dei suoi soggetti più cari e originali. Adesso, nell'oggi desertificato e deprivato perfino di sani e infantili traguardi, nell'assenza di miti e chimere, non ripetendosi, vivaddio non citandosi con quel famoso refrain, abbandona la schizoide speranza in un lieto fine, di un colpo di fortuna alla lotteria, di un matrimonio in grande con un mito, appunto, la frizzante e minuta brunetta (Angela Brambati), confinando la persona, il cittadino, in una Twilight Zone definitiva, quella triste, ma per fortuna a sprazzi comica, di chi può e deve solo attendere per pagare. Tutto questo con l'energia e la classe tragicomica di chi fa e riesce ancora, grazie ad autoironia e tecnica, a guadagnarsi le risate sincere, e sì, anche sbracate, del pubblico.

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