PISTOIA. Stavolta, l’agrodolce con cui Roberto Valerio ha puntualmente e piacevolmente condito le sue regie, ha solo tinte paradossali, forti, devastanti. I pazzi che ridono, urlano, cantano e si dimenano nel Padiglione 6 – una prima nazionale tratta dal romanzo di Anton Checov e che di fatto ha aperto la stagione teatrale dell’Atp (che l'ha prodotto) anche se al Bolognini (si replica dal 23 al 27, il 30 e il 31 ottobre, alle 21; festivi alle 16) - sono un ristretto manipolo di dimenticati da tutto e da tutti; tra loro, qualcuno è decisamente folle, perché non ha saputo ordinare il proprio amore e nessuno ha mai avuto bisogno delle sue tenerezze; qualcun altro, invece, ha solo dovuto fare i conti con la sfortuna e con le coincidenze della vita e, abbandonato dalla buona sorte, ha dovuto rinunciare a tutto, compresa la sua voglia di sapere, ma non quella di sognare, non di non credere a un mondo migliore. Vietato distrarsi, dunque, durante i cento minuti scarsi della rappresentazione, perché anche un solo battito di ciglia renderebbe difficoltosa la comprensione. Dimenticate il classico e applaudito istrionismo del regista (che non è sul palco e anche questa è una novità) e mettete in conto che ci sarà da sforzarsi per capire, spogliarsi per condividere, soffrire per sopravvivere.

Nella piccola sezione psichiatrica dell’ospedale di Sachalin, fatiscente struttura sanitaria aperta ai più biechi nepotismi per indossare i camici e ai più subdoli interessi per essere ospitati, c’è il dottor Andrèj Efimyc (Martino D’Amico), che sente il dovere, dopo decenni di totale abbandono sociale, politico e sanitario, di rendere al luogo e ai suoi abitanti un po’ di dignità. Gli ultimi, invece, devono restare ultimi, con la magra consolazione di poter vedere, tra loro, anche quelli che fino a poco tempo prima, con gli ultimi, non pensavano di dover mai spartire il tempo. Il dolore del nichilismo che attanaglia, più che abbracciare, i pazienti del Padiglione 6 – i legami con la band livornese Ottavo Padiglione di Bobo Rondelli sono tanto automatici quanto pertinenti – sono stemperati solo dalla poetica pittorica di alcune scene botticelliane, ma non ce la fanno, né devono farcela, a vendicare la desolazione tombale alla quale sono condannati questi poveri relitti, naufraghi esistenziali che a bordo di una sconquassata zattera non trovano mai un porto in grado di ospitarli e per questo costretti a restare a mare aperto. Il contesto nel quale si agitano i protagonisti (Luigi Di Pietro e Carlo Di Maio, che sono il paziente Ivan Gromov e il Direttore Sanitario e ai quali si aggiungono i cinque pazzi, allievi under 30 dell’Accademia Ludwig di Roma, Jacopo Angelini, Rosario Buglione, Pietro Cerasaro, Davide Locci e Paolo Oppedisano) in relazione ai tempi della stesura del romanzo russo sono decisamente cambiati, certo, anche da noi; di riforme, da Basaglia in poi, ne sono succedute, ma l’angolazione degli esclusi resta comunque un terrificante dato di fatto e anche l’attenzione verso la follia conserva quell’alone misterioso nel quale sembra impossibile poterci mettere le mani, farci conti, assorbirlo. E la trasposizione verso l’individualismo, nei piccoli e grandi contesti sociali, è automatica, dove la ghettizzazione resta sempre e comunque la più facile delle soluzioni da adottare, così da non infastidire i sani, i belli, i forti. Uno spettacolo costruito con la solita maniacale attenzione per i particolari da parte di Roberto Valerio (che si avvale dei costumi di Serena Furiassi e delle luci dell’indigeno Emiliano Pona), che ha preferito disertare il palcoscenico, ma non le sue convinzioni, che sono quelle di dare forza e spessore alla parola e a chi la pronuncia (fondamentali, a tal proposito, le collaborazioni con l’insegnante Andrea Pangallo e la coreografa Valeria Andreozzi), e dare spazio a tre colleghi e cinque aspiranti tali con la consapevolezza che attraverso il lavoro, lo studio e la totale abnegazione al servizio dell’arte il Teatro è e resta un insostituibile elemento di informazione culturale, riflessione sociale, vento di cambiamento.

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