di Francesca Infante

PRATO. Quando entra in scena, tutto si spegne. Rimane acceso, come faro di vita, un unico raggio di luce fredda, che si posa, spettralmente, su di lui: Johann Christian Woyzeck. Intorno il buio. Ma chi era Woyzeck? Era un uomo che la società aveva sfruttato e poi scartato ai propri margini. Esasperato dai soprusi e dai tradimenti dell'amante, era una vittima che la cattiveria dell'uomo ha spinto prima alla follia e poi all'assassinio. Il processo a J.C. Woyzeck fu un caso, diremmo oggi, mediatico. A pochi giorni dalla data fissata per l’esecuzione, la difesa ottenne un riesame sulla sua salute mentale e venne così istituito un nuovo processo. La Corte chiese al dott. Clarus, autore della prima perizia, di approfondire il caso. La Difesa chiese una controperizia auspicando che divenisse prassi processuale, ma la Corte rifiutò. Il dottor Clarus fu l’unico perito del processo. Dichiarò l’imputato sano di mente e J.C. Woyzeck venne giustiziato. Büchner lesse le perizie di Clarus le scrisse. Scrisse del delitto, ma non ebbe il tempo di scrivere del processo. All’epoca quel processo sembrò una farsa e fu chiaro l’intento esemplare/repressivo di quest’esecuzione. E le farse odierne? Il grottesco nei tribunali?
Tratto dal lavoro teatrale dello scrittore tedesco Georg Büchner, che si ispirò ai fatti di cronaca riportati dalle gazzette dell'epoca, scritto tra il 1836 e il 1837 e rimasto incompiuto a causa della morte dell'autore, Il caso W. è andato in scena ieri sera, al Teatro Fabbricone di Prato (si replica fino al prossimo 17 novembre). Scritto da Rita Frongia e diretto da Claudio Morganti che hanno tentato portare in scena quello che lo scrittore non è riuscito a finire: il processo per infermità mentale. Si, ho scritto, tentato, perché quello che doveva risultare un processo dai risvolti comici grotteschi, ha in realtà eclissato quello che forse lo scrittore, in origine, voleva trasmettere: la profonda solitudine umana di un uomo che sprofonda nella pazzia creata dai soprusi dell'umanità. Non avrei mai fatto del male a quella bambina. I bambini non puzzano di marcio dell'essenza dell'anima. Gianluca Balducci è il nostro W. ed è anche una delle poche note positive dello spettacolo. Riesce a rendere il personaggio devastantemente cupo, con tratti folli e incomprensibili, ma allo stesso tempo riesce a fare quasi pena, lasciando trapelare l'idea che anche lui è una vittima della società. In questa interpretazione arriva in aiuto anche l'uso (curatissimo, altra nota positiva) delle luci, sempre fredde, soffuse e direzionate sul personaggio di W., ogni qual volta entra in scena. Poi però in scena arrivano anche tutti gli altri. Tra i discorsi sulle granelle, dolci dai nomi strani, litigate infantili fra gli avvocati, testimoni tragicomici, non sembra emerge il grottesco dei personaggi, ma il ridicolo, che va ad oscurare il punto centrale dello spettacolo: il primo caso di giudizio per infermità mentale a un uomo che in realtà era già stato condannato a morte. Se l'idea era quella di strappare una risata, certo ci sono riusciti; ma se invece volevano creare un dramma dai risvolti assurdi, forse hanno dato poco spazio alla profondità del testo originale, senza pensare di oscurare una tematica così importante e che forse era meglio approfondire, con una risata in meno e una caratterizzazione in più. L'arte esiste quando ti lascia qualcosa dentro, una traccia che si ricorda nel tempo. Un uomo ingoiò una farfalla; non mangiò per una settimana col timore di schiacciarla. Quell’uomo poi accoltellò la sua amante. Quest’uomo è W. La farfalla non è sopravvissuta.
