PISTOIA. La defezione di Francesca Sarteanesi è ormai datata e per questo secondo appuntamento di Circolo Popolare Artico anche Francesco Rotelli non è sul palco. Luca Zacchini, però, il terzo, alfabetico, de Gli Omini, c’è e in nome della profezia bluesbrothersiana (quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare) non si perde affatto d’animo e confidando nel geniale contributo emologico della sorella Giulia e dell’amore clownesco della compagna Eleonora Spezi, supportato dalla presenza sufficientemente fuori da ogni regola di Nicola Danesi De Luca e Iacopo Fulgi, che sono i Tony Clifton Circus, tira fuori dal proprio cilindro del nonsenso un’ora di assoluto onirismo, che peggiora, se volete, le complicate percezioni della prima tappa consumata al Funaro, ma rende paradossalmente al progetto la sua autentica vena surreale. Lo scenario, stavolta, è il Piccolo teatro Bolognini, preparato con la cura di sempre, tra cianfrusaglie, antiche vettovaglie, mobilia scartata dai mercatini dell’usato e la solita cartina geografica della Groenlandia, con quindici calamite attaccate disposte lungo il perimetro dell’isola glaciale rappresentanti, a loro volta, le quindici abitazioni dei residenti.

Il fantomatico filosofare del primo step del trittico viene definitivamente abbandonato, fino al punto che si può soprassedere sull'identità di Jorm Riel, lo scrittore isolazionista che ha suggerito lo studio e le rappresentazioni; le incursioni non sono fantasmagoriche, ma fantozziane e Luca Zacchini può finalmente nuovamente impossessarsi della sua vena, quella che lo rende ospite di se stesso, dislessico, alcolista astemio, feroce sterminatore di formiche. Il pubblico, in sala, non numerosissimo, in verità, segue però con religioso interesse e animo divertito lo scriteriato susseguirsi degli avvenimenti, dai toni inconfondibilmente ciprìmareschiani e rende all’atmosfera il giusto blasfemo incantesimo. Non ci sono proclami, in questa seconda tappa popolare artica e nessuno, a cominciare dai protagonisti, ne sente la mancanza. Si parla di ospitalità sofferta, anziché offerta e di una sopravvivenza grottesca, più che epica. Certo, l’ambiente è la gelida, inaccessibile e inabitabile landa groenlandese, ma la volontà di resistere fino a febbraio, fino al parziale scioglimento dei ghiacci, è più una scommessa alcolica, che un principio politico. Gli ospiti non si capisce da dove siano piombati e se facciano parte della risicatissima comunità artica, così come il tricheco, che stavolta, in compenso, fa solo e soltanto il tricheco, un animale apparentemente preistorico al quale, invece, basterebbe insegnare a giocare a carte per renderlo domestico. La grappa, divisa e condivisa con il pubblico, è vera, così come le preoccupazioni dell’ultimo baluardo de Gli Omini, Luca Zacchini, che al buio, iniziato il lungo periodo del grande freddo, ricorda al pubblico, che non ha capito che lo spettacolo sia finito, come, nelle prove, l’incipit fosse stato più facile. Ma anche questo, forse soprattutto questo, è l’aspetto migliore e più confortante di questo secondo tragitto: un viaggio iniziato chissaddove e che terminerà con la rimessa della vettura in chissà quale garage. Risate e applausi, si passa all’epilogo, la crocifissione può attendere.

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