PONTEDERA (PI). 13 marzo, ore 7,30. Michele e Mariana, sua moglie, sono a Parigi. Sono partiti alcuni giorni prima, dall’Italia, per diporto; vacanza irrinunciabile, per un biglietto a prezzi stracciati trovato su internet. Decidono di andare a teatro, la sera, a vedere una rappresentazione di Molière: sarà in lingua francese, ovviamente, ma non si scoraggiano, nonostante dell’idioma transalpino sappiano poco o nulla; sorrideranno quando lo faranno tutti gli altri e seguiranno la rappresentazione con estrema attenzione quando il resto della sala tacerà. Che cazzo c’entra Giacomo Leopardi? Tutto! Ma non perché Michele Santeramo abbia deciso di omaggiare il profeta di Recanati titolando, in memoria di una delle sue opere più importanti, il suo ultimo spettacolo. Di qua dall’Infinito (prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana), in prima nazionale al Teatro Era, di Pontedera, fino al pomeriggio di domenica 24 novembre, è un invito a fissare, con estrema precisione, gli istanti dell’esistenza di ognuno di noi, prendendo appunti, scrivendo. Perché il 13 marzo è alle porte e quello che succederà la sera di quell’anonima giornata fredda, innevata, a Michele e Mariana, potrebbe succedere a ognuno di noi, in qualsiasi altro giorno.

Nessun catastrofismo ambientale, che non ha nulla di fantascientifico, tra l’altro, ma una tragica, lucida e attualissima riflessione sulle due parti del mondo, che si dividono tra quelli che aprono il rubinetto e vedono scorrere l’acqua calda e quelli che il rubinetto, in casa, non ce l’hanno proprio. Il 13, a Parigi, è un numero che riporta alla memoria, immediatamente, una pagina tra le più dolorose, quella della strage del Bataclan, avvenuta proprio il giorno 13, anche se di novembre. Il 13 marzo, invece, è solo il giorno del compleanno di una amico dell’autore, ma anche il giorno in cui, Leopardi, svegliandosi di buon’ora, scorge, dalla finestra della propria camera da letto, la siepe che lo divide dall’ermo colle e per questo, nonostante non sappia dell’approssimarsi della fine, decide di omaggiare quello sguardo, che naufragherà dolcemente in questo mare. La descrizione del tempo che trascorre con anonima certezza la mattina del 13 marzo a Parigi, Michele Santeramo decide di cadenzarla con la solita ammaliante lentezza, come se volesse che ognuno degli spettatori presenti in sala in qualche modo capisse davvero il suo invito a non lasciar cadere nulla. Ad accompagnarlo, in questo consiglio di viaggio immaginario, due suoi inseparabili amici di Puglia, Sergio Altamura, alla chitarra e ai vari synt e Giorgio Vendola, al contrabbasso. Non sono la colonna sonora della rappresentazione, ma il lato musicale, improvvisato, della tensione che regola la serata ed è con loro, attorno a un tavolino in legno, quadrato, occupato da due Pc, un telefono della preistoria e vari accorgimenti tecnici utili a creare ambiente e atmosfera, che uno dei più affabili e affascinanti cantastorie contemporanei imbastisce questa storia semiseria, drammatica, letale, nella quale il protagonista scorge e scopre cose che, nonostante la quotidianeità gli abbia sbattuto, per una vita, davanti, non ricorda d’aver mai visto. O forse sì, ma non si è mai preso la briga di prendere appunti, e così eternizzarli e per questo, il tempo, li ha dissolti. Prima di snocciolare, con la consueta, seppur non dovuta, lentezza, i versi dell’Infinito, che di fatto hanno chiuso, tra magia, superstizione e imminenza, la serata, Michele Santeramo ha invitato gli spettatori presenti, concedendo loro circa tre minuti, a scrivere, con penna su carta, ma anche sul telefonino o su una di quelle mortali diavolerie telematiche, qualcosa che vorrebbero non dimenticare, assicurando che quelle confessioni sarebbero rimaste patrimonio personale. Qualcuno l’ha preso sul serio; altri, han finto di farlo, ma passata l’enfasi e la curiosità da prestazione, si sono subito dirottati su internet, leggendo gli ultimi post di facebook o guardando il risultato di qualche partita di calcio sacrificata sull’altare del Teatro. Noi, ci siamo voltati a curiosare per vedere cosa stessero facendo gli altri, ma senza fare nulla; abbiamo pensato che nella nostra abitazione, dai rubinetti, esce acqua calda. E il prossimo 13 marzo, che verrà sicuramente, saremo vittime, non certo carnefici.

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