di Francesca Infante

PISTOIA. Il Teatro Manzoni di Pistoia ha (ri)aperto i battenti ieri sera, inaugurando il suo palco (dopo la chiusura per lavori, iniziati quest'estate) con un potente quanto audace spettacolo: L'onore perduto di Katharina Blum (in replica fino a domani pomeriggio, 1 dicembre), ispirato all’omonimo capolavoro di Heinrich Boll, con la regia di Franco Però e prodotto dai Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia, Napoli e Catania. Donna dalla fredda dolcezza, Katharina Blum ha passato la sua intera esistenza a lavorare e a dedicarsi alla vita degli altri. Ha divorziato dal marito, perché non voleva più subire le sue molestie e adesso lavora come donna delle pulizie presso una famiglia benestante. Per i coniugi Blorna, Katharina, è molto più di una semplice dipendente: le vogliono bene, come quasi a una figlia. Tanto che sono proprio loro che spingono Katharina a uscire la sera della vigilia di Carnevale e ad andare a ballare (cosa che lei ama fare), per divertirsi almeno una volta. Ma alla festa incontra Ludwig Götten, un piccolo criminale, sospetto terrorista. Trascorre la notte con lui e l’indomani, non del tutto consapevole della situazione, ne facilita la fuga.
Katharina viene brutalmente interrogata dalla polizia con la quale collabora solo in parte. Nel frattempo la stampa scandalistica, attraverso lo spietato giornalista Werner Tötges, violando ripetutamente la privacy di Katharina e manipolando le informazioni raccolte, ne fa prima una complice del bandito e poi una vera e propria estremista. A questo punto la vita di Katharina viene sconvolta: riceve minacce e offese, i suoi conoscenti vengono emarginati, il suo onore viene definitivamente compromesso”. Un gioco di porte a vetri divide lo spazio scenico in stanze, dove il dolore delle parole distrugge, senza pietà umana. Inizia lo spettacolo e al centro c'è Lei, Katharina (Elena Radonicich, di immensa bravura) che ci racconta, come unica fonte oggettiva dei fatti (dettagliatamente e quasi senza coinvolgimento emotivo), ciò che l'ha portata a perdere il suo onore e che ha distrutto la vita di chi le voleva bene. Ma il suo dramma si consuma subito e passa velocemente in secondo piano, per lasciare spazio alle vere protagoniste dello spettacolo: le parole. Mentre dietro quelle porte i personaggi vengono consumati dal dolore, sempre offuscati dai vetri, che fanno sentire lo spettatore colpevole di aver creduto a quelle diffamatorie parole, al centro del palco c'è Lui, Werner Tötges (Riccardo Maranzana) lo spietato giornalista scandalistico, simbolo della macchina mediatica decadente (e della stampa che nella Germania degli anni '70 puntava solo a sensazionalismo, fomentato dagli anni di piombo e dalle rivolte popolari, che esplodevano in quel periodo), che con sadismo si crogiola dello storpiamento dei fatti, fiero di aver avuto la prima pagina sul giornale. Ma non sono le parole scritte dalla stampa che feriscono, ma le conseguenze sulle persone che le leggono. Ed è qui, che c'è la seconda forte denuncia, quella contro la violenza verso le donne. Senza peli sulla lingua (finalmente), si parla di come una donna, definita subdolamente una mangia uomini, riceve insulti da uomini che la definiscono TROIA, che le scrivono viscide parole come se fosse solo un oggetto sessuale senza anima, supportati da quella che dovrebbe essere una fonte di verità oggettiva come la stampa. La potenza di questo spettacolo è la non vergogna di dire la verità. Di non frenarsi ad usare termini forti, come sono forti le conseguenze delle parole sbagliate.
