di Francesca Infante

PISTOIA. Quando la scena cambia, parte una nostalgica dissolvenza in nero che riporta alla mente quel cinema, ormai perduto, degli anni '40. E per un secondo ti senti a metà, tra il cinema e il teatro, un luogo idilliaco. M'hanno detto di prendere un tram che si chiama Desiderio, poi un altro che si chiama Cimitero, e alla terza fermata scendere ai Campi Elisi! È andato in scena, ieri sera, al Teatro Manzoni di Pistoia (si replica stasera e domani pomeriggio, domenica 8 dicembre) Un tram che si chiama desiderio, famosissimo e controverso testo di Tennessee Williams. La storia è ambientata nella New Orleans degli anni '40, e narra la storia di Blanche (Mariangela D'Abbraccio), una donna alcolizzata, malata di nervi e vedova di un marito omosessuale, che dopo il pignoramento della sua casa si trasferisce dalla sorella Stella e dal marito di lei, Stanley (interpretato nel 1951 dall'immenso Marlon Brando, mentre qui da Daniele Pecci). Tra Blanche e Stanley si instaurerà da subito un violento conflitto che porterà la donna alla pazzia e lui a un gesto estremo.
Il testo originale mise, per la prima volta, l'America di fine anni '40 davanti a questioni come la pazzia, il bigottismo della società, il maschilismo, i maltrattamenti e l'omosessualità, tanto da essere odiato quanto amato. Hollywood, nel film del 1951 diretto da Elia Kazan, affrontò tutto il testo, come originariamente scritto, tranne nel finale, ritenuto troppo ambiguo da portare sul grande schermo. Ma quell'attimo, che ti trasporta in una dimensione mistica sopra la linea di confine tra il teatro e il cinema, svanisce presto, quando dal buio emergono i rumorosi cambi di scena, che ti fanno precipitare nella realtà, spezzando la più magica delle sensazioni: l'evasione. E il secondo dopo, ti ritrovi a sedere sul tuo palchetto, cercando di capire perché gli attori sul palco recitino nel proprio dialetto di origine. Sì, perché in questo spettacolo possiamo sentire dialetti che vanno dall'emiliano al romano, in una recitazione dove la dizione sembra stata eliminata dal vocabolario della compagnia. Il testo di Tennessee Williams sembra venir recitato quasi per forza, non solo dagli attori non protagonisti, ma anche da Daniele Pecci, che sembra ripetere a macchinetta le battute, senza una profondità attoriale (che sia chiaro, sarebbe stato impossibile per qualsiasi essere umano, arrivare ai livelli di Marlon Brando), senza essere entrato davvero nel personaggio di Stanley. Ma in questo buglione di dialetti e pessima recitazione, c'è lei, che come un faro illumina la scena: Mariangela D'Abbraccio. Il palco è suo, come una diva solitaria lo domina con la profondità (forse anche quella degli altri attori) dell'interpretazione di Blanche. Sembra aver incanalato in sé l'essenza stessa del testo, riuscendo a farlo suo. Una prova attoriale di incredibile intensità, perfetta in ogni espressione, sospiro, movenza e sguardo, che rapisce chiunque la guardi. Mariangela D'Abbraccio non stava interpretando Blanche, era Blanche, come se il personaggio di Tennessee Williams fosse uscito dal copione prendendo vita su quel palco.
