di Stefania Sinisi

LASTRA A SIGNA (FI). Simpaticamente incuriositi dal titolo, ci sediamo in platea al Teatro delle Arti, a Lastra a Signa, per assistere allo spettacolo del Trio Trioche, che solo a pronunciarlo ci riempie la bocca della sua abbondante strabordanza; ci interroghiamo infatti sulla sua origine, ma la provenienza - ci spiega la stessa Silvia Laniado, una del Trio, con Franca Pampaloni e Nicanor Cancellieri, più tardi -, è nata goliardicamente in un’allegra serata del 2013 trascorsa insieme alla regista dello spettacolo, Rita Pelusio, nella quale bevendo un ottimo Borgogna e trastullandoci alla ricerca del loro nome, venne fuori spontaneamente dando un po’ l’idea del tri e scherzando sull’assonanza con le oche e le brioche in un francese italianizzato - conferma letteralmente Franca Pampaloni, et voilà, nasce Trioche. Il suono francese, però, ci evoca anche suggestioni storiche sul teatro di varietà, o, più comunemente, variété nella sua declinazione francese, un genere di spettacolo teatrale leggero come imitazione del Cafe-concert. Si trattava di un genere di spettacolo nel quale si eseguivano numeri di arte varia tra cui operette, giochi di prestigio, balletti, canzoni.
Come in questo caso, il teatro si struttura in un alternarsi di note musicali e comicità deliziosa, mai eccessiva; un genere molto attuale oggi, ma che raramente racchiude il sapiente studio multidisciplinare e poliedrico di musicisti comici e sapienti intrattenitori. Vero che prende consistenza dal teatro fisico e dalla clowneria, ma qui l’evoluzione è stata strumentale/melodica e lo spettacolo si trasforma in un vero e proprio concerto, con la vera protagonista che è la musica in genere e la lirica in particolare, con la fine satira utilizzata per nasconde e stemperare il grande amore per questa preziosa arte. La storia si ambienta sul palco di un concerto musicale: i protagonisti sono un’arzilla Signora (Franca Pampaloni) al pianoforte e il nipote (Nicanor Cancellieri) al flauto traverso che si trova a dover contenere la vivace Norma (Silvia Laniado), badante della zia che ha una vera abilità artistica lirica e che stravolge completamente il repertorio tradizionale classico a favore di interpretazioni riarrangiate e dissacranti di rumori eseguiti con oggetti strani, spesso impensabili. L’energia di Norma è frizzante con i suoi potenti vocalizzi ed esuberante nella sua comicità e complicità di scambi e giochi equivoci con il nipote e la briosa zia in un circolo vivo che ci diverte e ci coinvolge portandoci avanti e indietro nel tempo in ogni genere e a cambi di ritmi immediati senza interruzioni e senza tante parole ma con interi repertori: da Beethoven a Johann Sebastian Bach, da Rossini a Lady Gaga, passando dalla famiglia Adams, Mission Impossible, Il barbiere di Siviglia per arrivare ad Ancora di Edoardo De Crescenzo, l’Ave Maria di Schubert, I'm singing in the rain di Gene Kelly, tutte arricchite di sbadataggini e beffe incredibili, sciroppi, siringhe, gomme da masticare, torce, cucchiai, pettini, dentiere che diventano nacchere, situazioni bizzarre e incredibili da morir da ridere. Favolosa è la comicità che coinvolge il pubblico, ma che qui simpaticamente si complica e si esaspera con una dirompente Norma in Amami Alfredo (Giuseppe Verdi, La Traviata) che in stile Maria Callas si avventa su uno spettatore neutralizzando e rendendo inoffensiva la moglie. Il caratterizzante egocentrismo dei personaggi e la poliedricità stessa degli artisti sono abilmente mescolate alla grande preparazione musicale e agli esasperati giochi comici che fanno risultare tutto sicuramente vincente. Alla musica si può addirittura attribuirle la forza di elemento dirompente della quarta parete, cioè quel salto che permette di oltrepassare il limite tra il reale e l’irreale tipico del teatro, incoraggiando il pubblico a pensare in modo più critico su ciò che sta osservando, in questo caso ascoltando, riassegnando allo spettacolo la giusta consapevolezza e consistenza, elementi questi che trasformano l’apparente serata di avanspettacolo in uno studio teatrale sofisticato che lascia il sapore dolce di un serio, seppur non serioso, progetto artistico.
