di Stefania Sinisi
FIRENZE. Entrando nella sala del Teatro Niccolini, a Firenzel, la scenografia aperta ci proietta immediatamente sul palco per farci sovrastare dall’infinito culturale di un’abitazione apparentemente comune intellettuale in cui tutto è ordinato tranne le due lavagne, lasciate volutamente nebulose, quasi due porte lasciate aperte per l’imminente scontro, competizione (certamen) che di li’ a poco si svilupperà davanti ai nostri occhi soprattutto entrando nella nostra mente come provocazioni attente sul dibattito esistente tra gli estremi della cultura umanistica e scientifica, toccando il potente intreccio che risiede tra tre immagini cariche di emozioni: musica, poesia e scienza. Due librerie, due fratelli, due lavagne, che rappresentano due visioni del mondo contrapposte. Chi vincerà? Le Risposte verranno rivelate in un elegante duello di parole tra Paolo e Francesca, magisralmente interpretati da due fratelli, Maddalena Crippa e Giovanni Crippa, che attraverso formule e poesie scritte proprio su quelle lavagne contrapposte; con la potenza del vero legame fraterno riescono ad unire la scienza alla poesia. Come? Grazie all’intuizione geniale di Marco Malvaldi, eclettico scrittore da cui il regista Piero Maccarinelli prende spunto per far duellare i due Crippa sulle due lavagne della scienza alla destra del palcoscenico e la letteratura a sinistra.
Inizialmente le formule di Paolo y psi + d psi = m psi sembrano spiegare tutto con rigore, ma Francesca, con la sua poesia, riesce pian piano a sdradicare le certezze di Paolo, introducendo una chiave di lettura dove le variabili sono dettate dalle emozioni che possono rivoluzionare perfino la scienza. Emozioni che concedono  anche un po’ di sana umanità alla scienza. Alla fine infatti scopriamo essere concetti solo apparentemente slegati, in realtà incredibilmente uniti in un connubio eterno, un’unione primordiale, sovrannaturale e quindi indissolubile: una forma d’arte che l’uomo ha il dono e il dovere di cogliere in tutta la sua bellezza e magia. Ecco, la scienza entra prepotentemente in gioco nel momento in cui diventa la vera protagonista dei versi filosofici o mentre prende spunto dalla letteratura ispirandosi a Lucrezio, Dirac Oppenheimer, Wislawa Szymborwska, la scieza diventa oggetto di meditazione; è il soggetto di una profonda riflessione sul senso della vita e sul vero compito dello scienziato. La canzone di Fabrizio De André, Un chimico, cantata e suonata con poche note proprio dalla chitarra di Paolo, commuove e, diventa così, un unicum magico, una vera e propria poesia, un inno alla scienza e al sapere, mentre mai due volte configura il tempo in egual modo i grani! (di Eugenio Montale) scritto da Francesca sulla sua lavagna, analizza l’etimologia della parola entropia e la convergenza fra entropia ed energia, Solo verso la fine e grazie ai magnifici versi della Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere - attraverso la potenza dell’immaginazione che solo la parola ha il potere di sbrigliare - una Cerva corre tra le pagine bianche fruscianti come foglie in un bosco insieme ai versi di Giuseppe Ungaretti Si sta come d’autunno gli alberi le foglie, citati inizialmente sempre da Francesca e cancellati con prepotenza da Paolo riusciremo a capire che l’una (la scienza) senza l’altra (la letteratura) non potremo mai essere ciò che siamo oggi. Ecco L’infinito, racchiuso tra parentesi delle infinite certezze della scienza e le infinite possibilità dell’umanismo. Un certamen alla lavagna, certamente riuscitissimo ove a vincere è l’infinito dell’uomo.
 
 
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