FIRENZE. Per questo Camerini, l’ultima - in ordine di tempo - idea scenica di Alessandro Riccio, esuberante attore/autore fiorentino, il Teatro di Rifredi, che lo ospita fino a domenica prossima, 2 febbraio, può già vantare il tutto esaurito. Questo ci consola: per lui e la sua compagnia, per il Teatro di Rifredi, che continua a navigare, con dignità e dolcezza, contromano (senza abbonamenti), registrando, in compenso e in parecchie circostanze, rassicuranti sold out e anche per noi, che non siamo rimasti abbagliati. L’idea della rappresentazione, seppur apparentemente orfana di qualsiasi contenuto che possa far riflettere, non è male; dietro le quinte, infatti, non è peregrino immaginare e constatare, da cimici immaginarie nelle quali ci possiamo immedesimare, che i rapporti idilliaci di scena non siano affatto genuini e che dietro i sorrisi a trentadue denti con i quali i cast si presentano e congedano dal pubblico, spesso tenendosi per mano e fingendo di voler declinare il centro del palco al collega, nascondano in realtà parecchi dissapori, invidie, ruggini incancrenite, incoffesabili frustrazioni, fallimenti e che nei Camerini di tutti i teatri di tutto il mondo succeda e possa succedere quello che Alessandro Riccio ha costruito attorno alla sua compagnia occasionale, composta da vecchi e nuovi amici di scena.

Il nugolo di prime donne e comparse de Il giardino dei ciliegi è alla trentasettesima replica, ma nonostante questo, qualcuno ancora non ricorda le proprie innocentissime ed elementari battute (Mariam Bardini, gradevole, attendibilissima), qualcuno (Maria Paola Sacchetti, la figura più riuscita) soffra ancora dei classici disturbi che si confanno ai debutti e qualche attore (Alessandro Riccio), che crede nel proprio lavoro e vorrebbe non diventare un impiegato dello spettacolo, che non si arrende a un copione scontato, cercando in tutti i modi di convincere la regista (Celeste Bueno) ad applicare qualche indispensabile variazione sul tema. Nel Camerini c’è anche, invasiva e invadente, la produttrice (Vania Rotondi), che pensa solo e soltanto a fare economie, tagliando compensi e rimborsi oltre ogni liceità e avvalendosi, tra l’altro, di una segretaria ispanica (Maravillas Barroso) non proprio attendibilissima. Nei Camerini dello spettacolo che si intravede dietro un telone e dal quale arrivano gli applausi scroscianti del pubblico, c’è di tutto: ci sono un giovane psichedelico (Ian Gualdani) che abusa di sostanze stupefacenti, ma roba chimica, eh, l’elegantissima protagonista (Sabina Cesaroni), con polpacci degni delle migliori deambulazioni, seppur non più giovanissimi, la procace napoletana (Piera Dabizzi, che talvolta dimentica di aver scelto di fare la partenopea) e il rubacuori distratto (Daniele Favilli, un po’ livornese, un po’ pisano), che si dimentica di uscire dal teatro la sera prima, dorme rannicchiato nel baule e dispensa baci focosi a tutte le attricette con le quali divide la rappresentazione, soprattutto per ingraziarsele e farsi prestare tremila euro. Con loro e tra loro, i vestiti di scena lasciati incustoditi, gli asciugami colorati con le iniziali del vecchio attore (Amerigo Fontani), i bauli, gli specchi e le mensole per i protagonisti, dove su uno dei quali una fan sfegata (Teresa Scaletti) che sogna di smettere di fare la cassiera in un supermercato e fare l’attrice ha lasciato un bellissimo mazzo di fiori, riuscendo addirittura a intrufolarsi e riuscendo a vivere tutta l’adrenalina e l’emozione di quella trentasettesima replica. Di carne a cuocere ce n’è in quantità industriale; l’impressione è che Alessandro Riccio si sia colpevolmente voluto fermare alle apparenze e non abbia approfittato della circostanza per mettere sadicamente il dito nella piaga della miseria umana, che dietro le quinte, nei Camerini, che sono il backstage degli esseri umani prima che gli altri possano vedere, diventa mostruosamente tragica, nonostante da dietro il sipario arrivino applausi, urla di approvazioni e richieste di bis a squarciagola.

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