di Francesca Infante

PISTOIA. È tutto spoglio, tanto che di lato si vedono le corde del palco, che sempre vengono nascoste, ma qui devono essere viste. Cinque sedie, messe in cerchio, c’è solo quello. E cinque danzatori. Quando la finta perfezione non è parte della scena, resta da guardare ciò che di solito viene nascosto: i difetti. Ed è bellissimo. Questo è Another Round For Five, la nuova creazione di Cristiana Morganti, andato in scena (ad evento unico) sul palco del Teatro Manzoni di Pistoia. I protagonisti dello spettacolo si trovano in un luogo non ben definito, forse un club, un circolo, sicuramente un luogo a cui si appartiene o da cui si viene esclusi e in cui si consumano rituali, esibizioni televisive, gare, terapie di gruppo, scontri, discussioni e confessioni. Si riuniscono spesso in cerchio, come attirati da un’illusione di armonia difficile da mantenere. Su una scena quasi completamente vuota – appaiono rapidamente solo alcuni oggetti - prende forma una dimensione ironica e claustrofobica insieme, in cui il tempo è scandito da flashback e anticipazioni, in un gioco dove realtà e finzione, conscio e inconscio, equilibrio e caos si confondono.

Sono sorte di primi piani, campi lunghi e piani sequenza quelli che qui costruisce Cristiana Morganti, in cui si alternano momenti di danza potente e vitale a momenti più teatrali, comici e toccanti, nei quali gli interpreti si rivelano, si raccontano con spiazzante sincerità. Nel corso dello spettacolo emergono dunque sempre più nitidi cinque personaggi, molto diversi tra loro eppure molto vicini. La struttura drammaturgica è sostenuta dalle musiche, con alcuni brani che tornano ciclicamente a sottolineare la ripetitività o la variazione di determinate situazioni. I pezzi di autori vari spaziano tra generi molto diversi, dal tecno industrial tedesco di Florian Kupfer, alla musica sacra di Pergolesi, fino a un classico della musica pop come What a feelin, di Irene Cara. È una specie di setta, quella che si crea su quel palco spoglio, dove viene dato libero sfogo ai corpi, ai movimenti liberi ed espressivi dei danzatori (Maria Giovanna Delle Donne, Anna Fingerhuth, Justine Lebas, Antonio Montanile, Damiaan Veens), ma anche alle loro emozioni e confessioni. Quando danzano, la loro potente energia si percepisce a tal punto che avresti quasi voglia di unirti a loro, per sfogare la rabbia, la passione e sentirti libero. Quando recitano, lo fanno accentuando il loro accento (chi tedesco, chi francese, chi italiano dialettale), mettendo in scena loro stessi con estrema sincerità. Ma ciò che non riescono ad accettare sono i loro difetti. Ma a Cristiana Morganti i difetti piacciono, perché ha imparato da colei che ha visto la perfezione nell’imperfezione, il teatro nella danza, da lei che aveva un 41 di piede e voleva fare la ballerina ed è diventata una delle più grandi coreografe contemporanee: Pina Bausch, la creatrice del teatro danza, o come amava chiamarlo lei danza del teatro, della quale Cristiana Morganti è stata allieva ed interprete al  Tanztheater Wuppertal (adesso rinominato  Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, in onore alla coreografa scomparsa). Da grande erede della sua insegnante, la coreografa prende quei difetti fisici e ne fa arte visiva, li evidenzia tramite una danza libera e liberatoria, dove nella penombra si intravede la forza dell’accettazione di se stessi, come opera prima. Dobbiamo accettarci, sembra urlare Cristiana Morganti, che dell’imperfezione ha fatto scenografia.

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