di Erika Giansanti

PRATO. La scena asciutta e colorata; scomponibile e mobile, perfetta per adattarsi ai continui, convulsi andirivieni di Antonio Rezza (non più solo in scena) e dei suoi gregari (Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo di Norscia) che si accorpano e disgregano come una dea Kalì dalle molte braccia, gambe, muscoli. E natiche. Voci che si intersecano pur restando parallele, senza mai ascoltarsi, senza rispondersi; i parametri della comunicazione perduti nella frenesia di un’esistenza assurda in cui tutto è già stato esperito, spiegato, dimostrato e ascoltato. Fino a decomporsi, come l’habitat - chiama così le sue scene Flavia Mastrella -: uno spazio apparentemente bidimensionale, eppure versatile e pronto a disgregarsi, nello scorrere serrato di domande con ormai troppe risposte che sembrano annullarsi l’un l’altra. C’è il tutto e il nulla in Anelante, in questa messinscena andata in onda sul palco del Fabbricone, di Prato, subito dopo l’altra rappresentazione RezzaMastrella targata 7-14-21-28. E si ride. Del tutto e del nulla.

Le considerazioni dell’io protagonista fluttuano prima in un mare di formule matematiche che chiamano in causa Newton e Keplero; passano poi accanto alla psicanalisi di Freud perché renda conto a tutti noi della sua visione delirante dei mali dell’io e della famiglia e scimmiottano i teatrini della politica in un ritmatissima e geniale danza, il tutto nel convulso tentativo di cogliere l’assurdità dell’esistenza sbeffeggiandone i tratti distintivi. Un vortice di parole serrate, pronunciate con voce rezziana che mentre assumono senso lo perdono, e i silenzi appaiono eloquenti come pause, nel tumulto di un esistere di cui si son perse le coordinate. 

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