
FIRENZE. La tentazione sarebbe quella che ci indurrebbe a dissentire, tecnicamente, sulla relazione triangolare, ma che triangolare, multifacciale, multimediale, tra Leonardo Da Vinci (tuttologo di cui abbiamo timore a solo pronunciarne il nome), Leonardo Fibonacci (matematico pisano che ci ha regalato i numeri arabi), Leonardo Diana (coreografo, danzattore, persona particolarmente squisita), Nicola Buttari (scenografo), Luna Cenere e Isabella Giustina (danzattrici) e il Teatro Cantiere Florida, di Firenze, ad aver avuto il privilegio e l’onore di aver ospitato questo magnifico trip. Per onestà intellettuale, prima che deontologica, ci preme raccontarvi che non siamo riusciti, per ignoranza globale, a cogliere il nesso alfanumerico/danzante/musicale/visivo che ha sicuramente mosso ogni cosa attorno a In sezione aurea; con la stessa identica franchezza, però, scriviamo che le emozioni olfattive, prima di ogni altro senso, che abbiamo avuto il privilegio di assaporare e che ci accompagnano e guidano, sistematicamente, ogni volta che la fortuna ci pone di fronte a tanta meraviglia, abbiano superato di gran lunga la nostra limitata e terribilmente empirica capacità recettiva e che alla fine della rappresentazione abbiamo umanamente ringraziato coloro i quali abbiano avuto la capacità di organizzarla.
Straordinaria, nel senso più letterale, armonico e stupefacente che si possa contemplare, In sezione aurea è un amplesso orgiastico, senza cognizione e identità sessuale. Allacciate le cinture di sicurezza poste nell’abitacolo di una macchina del tempo mossa da effetti circensi e cinematografici, i tre protagonisti sembrano (ri)svegliarsi all’interno di un delimitato spazio circolare, dove ognuno prova a (ri)sorgere da una condizione coatta che li ha tenuti ostaggi per chissà quanto tempo. Che abbiano già vissuto epoche precedenti, più che un’intuizione, è un dato di fatto, perché ognuno conosce perfettamente la propria fisioterapia di riadattamento e pur senza incrociarsi mai, anche solo con lo sguardo, prima che nello spazio, con il trascorrere dei minuti si sintonizzano magicamente attorno a delle sequenze che si scandiscono con calibrata precisione e angosciante ripetitività. La musica, sotto, sopra, attorno, dentro, è un’implosione costante e accompagna la (ri)nascita dei tre protagonisti, che solo dopo aver potuto constatare la propria rispettiva abilità, iniziano a tessere e intessere trame geometriche, sempre sotto la guida di disegni videoproiettati, costellati rigorosamente da numeri, piccolissimi, ma infiniti, seppur crescenti. Ci si sposta con circospezione, anche se la familiarità del movimento e il rigore delle battiture, senza dimenticare i confini luminosi entro i quali ognuno può e deve interagire, consente a tutti e tre un’incantevole armonia, che disegna, a sua volta, bisettrici a ripetizione uguale e continua. Domina la disciplina ginnica, che ha lobotomizzato l’umanità, dopo averla resa capace e illusa di potersi muovere liberamente, obbligandola, in realtà, a sezioni ritmiche che se da una parte dimostrano la completa padronanza degli arti e dei movimenti, dall’altra ne denunciano un totale subdolo asservimento. È la legge della matematica, che non ammette opinioni? O è la legge della danza, della musica, delle arti in generale che dimostrano e possono dimostrare che ogni cosa possa essere utilizzata e sfruttata a loro piacimento, fenomenologia numerica compresa? E non vi induca nemmeno in errore la stabile formazione triangolare sul palco, che si scompone solo in alcune circostanze, per riposizionarsi, fedelmente, subito dopo aver ricomposto le fila; è un triangolo equilatero e anche se i vertici degli angoli sono vistosamente differenti tra loro e anche se l’angolo superiore, rispetto alla platea, è occupato e impegnato da Leonardo Diana, gli altri due, equidistanti e equofunzionali, rispettivamente da Luna Cenere e Isabella Giustina, svolgono le stesse, identiche e ineccepibili ragioni, quelle di tre Leonardo che si sono dati, chissà dove e chissà quando, appuntamento al Florida.
