di Francesca Infante

PISTOIA. Si può usare un'iconica colonna sonora, entrata nell'immaginario collettivo come assonanza del terrore per la banalità di una storia, fatta di ritagli di carta, ma anche di ritagli di trame famose del cinema americano? Perché essere innovativi nel raccontare per non raccontare assolutamente niente? Seduta comodamente alla sua scrivania di scena, muove quei ritagli di carta come marionette. D'altronde è una burattinaia, e non si può dire che questo non le riesca. Con quella sua presenza scenica e quell'ironia che ricordano la mimica di Charlie Chaplin, Yael Rasooly, il 21 febbraio è arrivata sul palco de Il Funaro, a Pistoia, con il suo Paper Cut. Ma andiamo con ordine: la trama. Lei, segretaria in un ufficio legale, è innamorata segretamente del suo capo, che oltre a non ricambiarla, la sfrutta anche per scrivere lettere d'amore alla misteriosa Georgette. Distrutta da questo amore non corrisposto, inizia a sognare un'ipotetica relazione con il suo Richard.

Una precisazione: ogni volta che dalla realtà passiamo all'immaginazione, arrivano sulla scena i ritagli di carta (che vedono protagonisti attori famosi e scene iconiche del cinema americano degli anni '40), che usati come marionette, si uniscono all'abilità, di Yael Rasooly, nel canto e nell'uso della mimica facciale, che rimanda alla goffaggine delle commedie slapstick. Proseguiamo con la trama: lei e Richard si scoprono innamorati e nel susseguirsi di scene romantiche, arriva il colpo di scena: entra nella storia anche Georgette (mimata con una voce grottesca), che diventa subito l'antieroe per eccellenza. Ed è qui che quella che sembrava una commedia romantica senza età, si trasforma in un giallo alla Hitchcock. La banalità. Se togliamo i ritagli di giornale e analizziamo la trama ne escono fuori altri ritagli, ma di pellicole immortali quali: Rebecca, La prima moglie, Vertigo, Il delitto perfetto, L'altro uomo e infine, l'affronto più grande, l'utilizzo de La colonna sonora, l'immortale, sempre scolpita negli angoli più bui della mente come rimando collettivo al terrore umano, quelle note che nel 1960 furono portatrici di urla e orrore nei cinema, quelle di Psycho, qui sminuite e usate per richiamare alla figura losca di Georgette. Tutto lo spettacolo sta in piedi grazie all'unione di immagini, musiche e trame, ormai divenute iconiche nel nostro immaginario, dove lei fa danzare i suoi burattini cartacei, unica fonte personale dello spettacolo. Yael Rasooly mette in scena una persona comune, con un lavoro monotono e ripetitivo che non ammette colpi di scena, giocando con rimandi a icone ormai scolpite nella nostra mente per creare ilarità, senza derivarne uno slancio di ribellione, ma rifugiandosi nella fantasia, quasi come se solo lì fosse possibile fare della propria vita un qualcosa di più che dei semplici ritagli di carta. Solo formine di carta che recitano in falsetto e Hitchcock, che forse, si sta rigirando nella tomba.

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