PRATO. Non trasuda simpatia, Oscar De Summa, sul palco e giù da questo, ma è un intellettuale indispensabile che va protetto con le unghie e con i denti, perché è una voce, autorevole, della cultura teatrale italiana, che non si ciba di marchette. Vanta un dizionario sontuoso, articolatissimo, che scioglie e discioglie con grazia, per non parlare della mirabile facoltà investigativa sociale; la trilogia della Provincia è quanto di più interessante sia stato scritto negli ultimi quindici anni e in questa, La sorella di Gesucristo un capolavoro di denuncia e dolore. Anche al Fabbricone di Prato (oggi pomeriggio, 1° marzo, alle 16,30, ultima replica), il vate brindisino, con Da Prometeo. Indomabile è la notte, ha messo sapientemente a cuocere le sue qualità migliori, avvalendosi della collaborazione attoriale di una gran bella forza del teatro, Marina Occhionero e di Luca Carbone e Rebecca Rossetti, che hanno l’obbligo scenico contingente di sembrare decisamente meno della piccola grande promessa, non solo teatrale, ma anche musicale e cinematografica, di quello che non sappiamo potrebbero essere. Della piccola, rabbiosa, fiammiferaia non mancherà occasione di parlarne con dovizia di dettagli e abbondanza di aggettivi.

In questa, ci corre l’obbligo di esternarvi le nostre impressioni su questa rilettura della leggenda di Prometeo, che non hanno e non vogliono avere alcuna presunzione. Però, durante la rappresentazione, che abbiamo seguito, accreditati, dunque gratis, dalla postazione privilegiatissima della prima fila, in più di una circostanza ci è sorto il dubbio che Prometeo fosse solo un’abile escamotage teatrale, anche prima e dopo le guappe confessioni dell’autore, che si è sornionamente scusato con il pubblico se fino a quel preciso istante ci fosse ancora molto, troppo, da chiarire per capire dove volesse andare a parare. Lo spettacolo, insomma, si sarebbe potuto intitolare, ad esempio, Quel pomeriggio di un giorno da orsacchiotti in via d’estinzione o anche Noi, i ragazzi dello zoo dell’Osmannoro che le varie tematiche affrontate, come la violenza, la solitudine, il superomismo, la sottocultura del terzo millennio, la surrealtà, le nuova fondamenta familiari, sprovviste, come i cartoon di Schulz, di adulti, con una dose discreta di woodyallenismo, non ne avrebbero, minimamente, risentito. Di Prometeo e della sua dilaniante condanna gastroenterica, in pratica, se ne parla con eccessiva parsimonia; tutto nasce e muore con un dissuasore dei servizi sociali (l’aquila, Aetòs) che prova, disperatamente, a far ricredere una giovanissima povera vittima di abusi sessuali e informatici (Tea, Prometeo) dal desiderio di farla finita. Nel mezzo, una sequenza, ricca, ma poco decifrabile, di richiami alla già controversa leggenda mitologica greca, che si sublima nel monologo dell’autore, della ragione, dell’inevitabilità del sopravvento logico alle vicissitudini umane, nell’irrefrenabile desiderio di stravolgere le dinamiche sociali, nell’impeto rivoluzionario e nei colloqui, molto teenageristi, che hanno il sapore di un astuto dettaglio capace di esercitare il coinvolgimento del pubblico più giovane, tra Epi e Pandora. Certo, nel foglio di sala (mai come in questa circostanza semplicemente indispensabile, più che utile), i convulsi e inesplosi parallelismi sono ampliamente spiegati e documentati, ma le cose che sono arrivate diritte e dirette alla pancia e che traghettano la rappresentazione dalla riva della perfezione a quella del dolore, facendo così risorgere davvero la dannazione mitologica, sono quelle legate a un teatro antico: della parola, del corpo, del movimento, di un dolore inconsolabile, che si impadronisce degli attori e li straccia con elegante e inaudita violenza. Quel Teatro è quello che Oscar De Summa conosce alla perfezione e ne è interprete difficilmente sostituibile.

Pin It