di Giuliano Livi

PISTOIA. ... e quando miro in cielo arder le stelle;/ dico fra me pensando:/ A che tante facelle?/ che fa l'aria infinita, e quel profondo/ infinito seren? che vuol dir questa/ solitudine immensa? ed io che sono?/ Così meco ragiono: e della stanza/ smisurata e superba,/ e dell'innumerabile famiglia/... uso alcuno, alcun frutto/indovinar non so. (Giacomo Leopardi: Canto notturno di un pastore errante dell'Asia: vv 84-92,97-98).

Ecco, ci risiamo, sei in grado solo di portare riflessioni di altri; lìberati del tuo ruolo di professore e rifletti come uomo, solo e disarmato. Se insegnavi filosofia ora ci parlavi di Kant, di Platone o di altri ma, allora, la capacità di riflettere è solo e sempre in relazione a chi sei, alla tua cultura, alle tue esperienze di vita? Penso proprio che sia così, ma, allora, perché si pensa e si riflette tutti sulle stesse vicende, sulle stesse problematiche, sulla vita, sull'amore, sull'amicizia, sulla morte. Ma allora riflettiamo perché vogliamo piegare il passato, il presente e il futuro secondo i nostri intendimenti? Ora stai facendo anche il filologo! Ma allora devo riflettere? Non voglio riflettere. Ma non puoi non riflettere sulla fragilità della vita, sulla vanità delle azioni umane; altrimenti sei un superficiale, un uomo senza coscienza e senza consapevolezza di sé. Quando non avevo ancora dieci anni, durante una scorrazzata in bicicletta fra amici, uno di noi cadde, nemmeno rovinosamente, si rialzò e continuammo a inseguirci e a ridere di tutto e di tutti. Nel pomeriggio, era morto, perché un freno della bicicletta gli aveva distrutto, mi pare, il fegato.

Con un mio grande amico, il giorno dopo, di pomeriggio, andammo a casa sua, a salutarlo per l'ultima volta. Era molto caldo. Ricordo che la casa dove abitava, in via del Villino, era piccola e la stanza buia per le persiane chiuse, ma, soprattutto, non dimenticherò mai la sua mamma, lì accanto a lui, disteso sul letto, che scacciava le mosche con un gesto di amore disperato e senza conforto. Forse non realizzai subito alte riflessioni sulla fragilità umana, ma poi, con il tempo che passava, queste immagini scolpite in me, mi ricordavano sempre chi siamo, la vanitas vanitatum di tutte le azioni umane, l'incoerenza se non la stupidità di molti nostri comportamenti. Non c'è bisogno, quindi, di un momento così difficile per ricordarci chi siamo; certo, però, può contribuire a non farci costruire tante illusioni sul nostro destino, sull'alta funzione dell'uomo nel mondo. Quando siamo presi da un amore felice; quando lo stiamo vivendo, raramente riflettiamo; non vogliamo il passato; non pensiamo al futuro; viviamo solo il presente senza riflessione alcuna. Non è esattamente così, e la nostra riflessione si sta facendo un po' caotica e banale. Il periodo che stiamo vivendo è pieno di incertezze e, talvolta, di angosciose paure ed è per questo motivo che siamo spinti a riflettere. Allora è vero che la poesia e la riflessione nascono proprio dal dolore. Che c’entra la poesia? Ora basta con questa riflessioni dotte! La poesia è fondamentalmente sentimento e dolore e, di conseguenza, riflessione. Non si può e non si deve affermare che la riflessione nasca solo dal dolore, dai momenti difficili; posso riflettere anche d'estate seduto in riva al mare, di fronte a un meraviglioso cielo stellato, anche se temo che quello sia uno stato di beatitudine che appaga, e non riflessione. Questa disquisizione mi sembra inutile se non dannosa. Allora non si può riflettere sulla vita, sulle sue finalità, se questa riflessione è inserita in una salda fede religiosa? In Dio ci sono tutte le risposte? Sicuramente: bisogna stare accorti e non confondere la riflessione con le domande. Le domande sono innumerevoli e proprie dell'uomo, ma la riflessione dovrebbe tentare di dare risposte a quelle domande che l'uomo si pone da sempre, colto o analfabeta che sia. La saggezza dei nostri vecchi, dei nostri contadini, talvolta con i modi di dire o con i proverbi, voleva mettere un punto fermo a tante riflessioni: c'era da lavorare, il raccolto vuole braccia non idee. Sinceramente non ho capito dove siamo andati a finire; Leopardi rifletteva moltissimo perché aveva problemi fisici ed era troppo intelligente; io sono bello e sano e mi godo la vita senza tante domande e riflessioni che non portano a nulla.

... e mi sovvien l'eterno/ e le morte stagioni, e la presente/ e viva, e il suon di lei. Così tra questa/ immensità s'annega il pensier mio:/ e il naufragar m'è dolce in questo mare. (Giacomo Leopardi: L'Infinito vv.11-15)

E basta con questo Leopardi; esistono anche altre voci; altre vite; altri destini. Esiste Alessandro Manzoni, per esempio, la cui opera illuminata dalla presenza e dalla volontà del Signore, senza il quale nulla accade; e il grande scrittore non ha necessità di farsi domande angosciose sull'uomo, né necessita di riflessioni pessimistiche sulla vita umana; allora si vuole tornare a ripetere che la riflessione è frutto di dolore e di affanni. Non lo sottovalutare: mille sono le riflessioni sull'uomo del grande scrittore: si poneva sempre la domanda che senso avessero quelle masse di persone, di popolo, che non avrebbero mai lasciato una traccia nella storia; che sarebbero passate inutili e sconosciute. Che senso ha avuto, dico io, che Giuseppe di Pian degli Ontani sia morto di crudele malattia giovanissimo nel 1832? Che riflessioni vane e tendenziose: non esiste risposta se non rimettendosi all'imperscrutabilità del destino o alla incapacità per l'uomo di capire il disegno divino. Torniamo all'inizio: io non mi sento in grado di dare una risposta sensata a quello che stiamo vivendo nemmeno dopo attente, acute e valide riflessioni. Allora è proprio vero: riflettere è una capacità straordinaria e meravigliosa dell'uomo, ma non serve a nulla, serve solo a complicargli la vita senza dare risposte. Questa è una conclusione quanto mai valida, frutto di grande riflessione da parte di una persona che non vuole riflettere.

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