
Aspettiamo fiduciosi, qualcosa dovrà pur succedere: la fine di questa pandemia, la scoperta di un vaccino. Abbiamo bisogno di tornare alla normalità, soprattutto per poter continuare a regalare riflessioni, provocazioni, sogni.
Lo dice Roberto Valerio, che uomo di spettacolo può tranquillamente proclamarsi, senza spocchia alcuna, ma anche senza il minimo timore di venir contraddetto; lo racconta il suo curriculum: nel 1996, all’età di ventisei anni, si diploma all’Accademia di Arte drammatica Silvio D’Amico di Roma, dove è nato, per poi dirigere quattordici spettacoli teatrali, alcuni dei quali anche nella doppia figura di protagonista.
Non ho la patente di attore, perché credo che non esista, così come sono convinto che nessuno possa assegnarla a nessuno. Ho visto gente uscire dalle Accademie di recitazione senza avere la minima idea, né cognizione, di teatro; conosco degli autodidatta che sono personaggi meravigliosi. Bisognerebbe che lo Stato, soprattutto il nostro, che vanta trascorsi che hanno fatto scuola ovunque, dal cinema al teatro, passando per la musica, investisse sulla cultura e che il ruolo di agente di spettacolo fosse grandemente tutelato, non solo in questo inimmaginabile momento.
Questo virus ha messo in ginocchio molte categorie; la vostra, in particolare.
Beh, sì, è stata una vera e propria disdetta. La macchina non si è fermata: si è spenta. Riaccenderla sarà difficile, doloroso, soprattutto in considerazione del fatto che il teatro che verrà, così come tutti gli spettacoli dal vivo, che hanno indispensabilmente bisogno del pubblico, per esigenze di tutela immunitaria dovranno attenersi a normative che stridono, usando un eufemismo, con la natura stessa degli eventi: musicisti con le mascherine o spettacoli teatrali che dovranno ridurre sensibilmente il numero dei protagonisti sul palcoscenico: un controsenso, un paradosso. Conosco produzioni straordinarie in via di debutto che sono state letteralmente cestinate. Anche se la situazione dovesse gradualmente ristabilirsi, va da sé che la prossima stagione dovrà fare indispensabilmente i conti con la sicurezza, che equivarrà a una drastica decimazione degli spettatori e conseguentemente degli incassi. E come potranno, le casse dei teatri, che già oggi non trasudano fortune, affrontare e riuscire a superare un periodo come questo? È veramente un momentaccio, ma lo dico con la consapevolezza, la voglia e la coscienza di dover e voler ripartire. E lo dico io, che adoro quel teatro di linguaggi, intrecci, piani intersecanti, con un andirivieni di attori che escono e entrano, si affacciano e si nascondono, si muovono e fanno muovere.
In attesa dell’auspicato ritorno alla normalità, il bonus/tampone per gli artisti è una forma utile, condivisibile?
Non chiedermi, per favore, cosa sarebbe o cosa sarebbe stato meglio fare; non ho le capacità per riuscire a gestire una situazione tanto complicata quanto lontanamente prevedibile. Saluto solo con piacere tutto ciò che possa garantire sopravvivenza, anche se mi rendo perfettamente conto che la distribuzione delle risorse è da tempo mal distribuita e che il mondo del teatro è più popolato di quanto lo stesso sia in grado di accogliere. Ribadisco e tengo a sottolineare come questa catastrofica situazione dovrebbe indurre il Paese a dare, alla cultura, un altro peso specifico, ben diverso dall’attuale, come del resto succede in Germania e in Francia, tanto per fare due esempi di Paesi profondamente occidentali come il nostro.
