PISTOIA. Un testo così profondamente comunista (Viaggio al termine della notte), non può che raccogliere il nostro entusiasmo, soprattutto in considerazione del tempo in cui è stato scritto (1932), quando essere compagni aveva un senso ed era una missione, non fingerlo di esserlo, come succede da troppe stagioni, per una detestabile opportunità. Detto questo, di Louis-Ferdinand Céline e del suo inoppugnabile capolavoro, visto che Elio Germano ha deciso di portarlo in scena, occorre scendere in dettagli teatrali e concentrarli sulla rappresentazione andata in scena ieri sera, 30 agosto, al Teatro Manzoni di Pistoia, in uno di questi anomali, ma mirabili, appuntamenti di Spazi Aperti voluti ed egregiamente allestiti dall’Atp. Al cospetto del nichilismo céliniano non si poteva che abbinare all’opera, visto che ha deciso e voluto musicarla, un’atmosfera tetra, dark, che molto si addice al cupismo del testo. Però, Teho Teardo (l’ala musicale della rappresentazione) e le sue tre strumentiste al seguito (Laura Bisceglie, violoncello; Ambra Chiara Michelangeli, viola ed Elena De Stabile, violino) avrebbero potuto avvicinarsi un po’ di più agli Art of Noise, conservando quel timbro musicale che noi detestiamo, ma che si abbina maledettamente bene a Céline in una perfetta e simbiotica evocazione.

E anche Elio Germano, attore, parecchio cinematografico, ricco di fascino e dote, che porta in giro lo spettacolo da circa due lustri (anche se a intervalli altamente irregolari, immaginiamo), potrebbe anche decidersi di impararlo a mente, il testo, invece che costringersi a leggerlo sui fogli dai quali deve poi liberarsi con malcelata nonchalance. Affamati come siamo di spettacolo comunque, taluni dettagli, che in tempi previrali ci avrebbero assai più energicamente indispettito, passano tranquillamente in cavalleria senza che la nostra censura li sottoponga al metal detector dei nostri insindacabili parametri. Che si erano immediatamente ben predisposti, tra l’altro, all’inizio, quando l’atmosfera di questo viaggio al limite delle tenebre della notte sull’aberrante, cinica, mostruosa irragionevolezza della guerra ci ha piacevolmente riportato al turbamento che soffrimmo con il Cantico dei cantici di Roberto Latini. E su quella falsariga rappresentativa lo spettacolo ha continuato a muoversi, tra racconto, sogno spettrale e un sottofondo musicale che spesso prende il sopravvento e si fa personaggio, terribilmente scomodo, di una tragedia che purtroppo non ha avuto fine. Insomma, due intellettuali (Elio Germano e Teho Teardo) subbissati di premi e riconoscimenti al servizio di una rilettura, appassionata e funesta, di un’opera di un altro immenso intellettuale (Louis-Ferdinand Céline)che ha segnato la letteratura del primo ‘900 senza, ahinoi, perdere con il trascorrere dei decenni e della civiltà il suo drammatico peso specifico. Lo spettacolo, inizialmente previsto nel giardino della Fortezza Santa Barbara, è stato dirottato, per un brusco irrigidimento atmosferico condito dal rischio precipitazioni, al Teatro Manzoni, dove, paradossalmente, il caldo l’ha fatta da padrona.

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