
PISTOIA. I domicili coatti imposti dalla quarantena hanno reso un po’ a tutti, nella tragica intimità domestica amplificata da un tempo senza tempo, le corde adolescenziali. Roberto Valerio e Massimo Grigò (in ordine di apparizione, ieri sera, 9 settembre, alla Fortezza Santa Barbara, a Pistoia, in uno degli appuntamenti di Spazi Aperti, promossi dall’Apt), che di mestiere non possono (mai) tralasciare alcun dettaglio, hanno approfittato di questo interregno teatrale per leggere in scena alcuni passi, tra aneddoti, poesie e novelle, di due pionieri: Aldo Fabrizi (Fabbrizi, all’anagrafe, ma sarebbe sembrato un difetto metropolitano) e Renato Fucini, rispettivamente (ma doc), romano e grossetano (fortemente naturalizzato pisano). Il pubblico pistoiese, che conosce bene (benissimo) entrambi, ha deciso di non sottrarsi dal piacevole dovere di consegnare loro, in questo delicatissimo momento di ripartenza esistenziale, prima che sociale, culturale e attoriale, un’incoraggiante dose di applausi. Tutti meritati, ovviamente, al di là di ogni circostanziata ragionevole comprensione. Perché nelle corde di Roberto Valerio, non certo nella stazza, diametralmente opposta, c’è tutta l’ironia ereditata da un vero e proprio maestro dello spettacolo in bianco e nero, una sagoma muta, quella di Aldo Fabrizi.
Ed è dell’indimenticabile poliedrico personaggio del cinema, della televisione, del teatro, tre branche dello spettacolo affidate, all’epoca, solo e soltanto a chi poteva sopportare e supportare gli occhi di bue, le cineprese, le telecamere, che Roberto Valerio ha inesorabilmente attinto linfa per la sua satira, abilmente riprodotta in molti suoi spettacoli. Così come per Massimo Grigò ha ampiamente voluto dire Renato Fucini, anzi, Neri Tanfucio (anagramma usato in parecchie circostanze editoriali); un cantore che fu il cronista delle veglie paesane prima dell’avvento del tubo catodico, raccontando la vita delle comunità pretelevisive che si riunivano nei poderi e nelle stalle (tutto dipendeva dai rigori climatici), dove a farla da padroni erano i corteggiamenti dei giovanotti verso le donzelle del paese. Due ore, scarse, di piacevole intrattenimento, affidato a due profondi conoscitori tanto dei personaggi passati alle radiografie, quanto della deambulazione attoriale. Certo, aspettiamo il teatro, quello vero, quello che non contempla reading, ma studi disperatissimi, prove a ripetizione, tormenti adrenalinici un attimo prima di andare in scena, sensazioni che attanagliano tanto i protagonisti quanto il pubblico che aspetta di emanare verdetti. Strano, ma forse è solo una nostra considerazione, che ieri, al termine della rappresentazione di Massimo Grigò, i due attori e amici di lunga data non si siano presentati, insieme, sul palco, seppur a debita distanza contagi, a salutare il pubblico.
