di Luna Badawi

FIRENZE. È ora di cena, nel Chiostro di Santa Maria Novella, di una sera calda, ma non afosa. L’ambiente profuma di antico e conserva tutta la bellezza che la storia può riservare. Sei stato invitato a cena con Primo Levi. Sì, proprio quel Levi, il famoso autore di Se questo è un uomo. Sei seduto insieme ad un’altra cinquantina di persone; le luci sono soffuse e il distanziamento sociale rispettato, anche se quello che sta per accadere vorrebbe una vicinanza fisica. Vorrebbe una mano da stringere. Levi sa quanto la storia sia importante, quanto la memoria sia fondamentale, quanto la testimonianza sia un dovere nei confronti dei propri simili. Ed è per questo che non si tira indietro e con estrema lucidità decide di aprirsi e raccontarsi. Alla location meravigliosa, agli archi affrescati, al romanticismo degli alberi che si mescolano ai colori dei dipinti del chiostro si sta per contrapporre uno squarcio di storia violenta, atroce e disumana: l’esperienza del lager. Levi arriva con il suo solito abbigliamento distinto, con la sua razionalità pacata e impressionante. Ed è pronto a testimoniare. In mano hai un foglio con tantissime domande che puoi fargli.

Come se fosse un invito a non dimenticare neanche le domande da porre. La maratona ha inizio: com’è convivere con il ricordo dell’esperienza del lager?; le cose che racconta sono realmente accadute?; si può ottenere secondo lei l’annullamento dell’umanità dell’uomo?; la missione dell’intellettuale?; cos’è la memoria? Sono solo alcune delle tante domande a cui lui risponde. Super-realista, razionale, educato, ma profondamente segnato. Fragile come ogni uomo e forte, forte come solo chi è riuscito a sopravvivere ad un’esperienza del genere. Racconta come la fortuna, la salute e il suo mestiere di chimico lo abbiamo salvato. Di come era indispensabile adattarsi a tutto pur di sopravvivere in un lager. Di come la fede, sì, la fede in un qualcosa, in un Dio, in una politica, in qualunque cosa che sia al di fuori di noi sia la chiave per continuare a vivere o a sopravvivere. Di come le atrocità di Auschwitz, del Nazismo e di ogni ideologia totalitaria possano sempre prendere il sopravvento, in qualunque periodo storico, se ottengono il potere. Passa quasi un’oretta e mezza in cui senza mai stancarsi, lo scrittore si rivela e tu sei con la bocca aperta, impressionato da come tutto questo possa essere uno spettacolo. Se questo è Levi è una produzione Fanny e Alexander, compagnia tra le più talentuose in Italia. Premio Ubu 2019. Andrea Argentieri, con l’aiuto di Luigi De Angelis, personifica Primo Levi, e riproduce uno dei dialoghi più belli che si possano sentire sull’argomento. Cinque minuti interi di applausi continui alla bravura di un uomo che riesce a vestire i panni di un altro e a tirarne fuori il meglio: la voce, la gestualità, il carattere, la sobrietà insieme a quel dolore dignitoso e l’elaborazione quasi scientifica di tutto ciò che ha significato essere deportati e sopravvivere ad Auschwitz. Bravi Fanny e Alexander. È stato un piacere cenare con lei, Signor Primo Levi.

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