di Stefania Sinisi

FIRENZE. Il destino ha un ruolo predominante in 70 volte 7, perché sconvolgerà due nuclei familiari in un vorticoso intreccio di emozioni. Ognuno di noi è segnato dall’incontro con il fato, con il proprio karma e dagli eventi che si susseguono apparentemente casuali, perché le persone che incontriamo e le circostanze che viviamo possono davvero cambiare il corso delle nostre vite; per sempre. È che in un modo o nell’altro, tutto il bene e tutto il male che entra ci porterà, comunque, verso un’evoluzione e una crescita individuale. La rabbia, invece, ci soffocherà, inaridendoci, ma spesso ne saremo scossi ugualmente e saremo sconvolti per il dolore subito. Questo il plot ideato e diretto da Clara Sancricca, di Controcanto Collettivo, che riapre il sipario al pubblico del Cantiere Florida di Firenze grazie all’interpretazione di Federico Cianciaruso, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero e della stessa regista, Clara Sancricca. Ma il dolore che proviamo, le emozioni che sentiamo, vengono tutte interpretate, elaborate dalla nostra psiche, una ad una in maniera personale e diversa, in ognuno. Ogni individuo ha la propria capacità e i propri tempi per riuscire pian piano ad adattarsi, ad accettare il dolore attraverso la comprensione e l’ascolto, in un viaggio introspettivo dentro se stessi e non solo, che porterà qui i protagonisti all’espiazione del male che entrambi sentono, non solo superandolo, ma oltrepassandolo attraverso il perdono concesso infine da Gabriele (fratello del defunto) all’aguzzino, nonostante le prime resistenze dettate dalla rabbia e dal rancore.

Dovrà accettare il dolore dentro se stesso anche l’assassino, che sembra essere un ragazzo qualunque, che non ha realmente compreso fino in fondo la gravità delle sue azioni, fino a che la sorella non gli mostrerà quel lato umano che può esistere anche nella tribolazione di un destino ormai segnato, lasciandogli intendere che lui è meglio di così e che non ci si deve mai rassegnare e anche se non si può cambiare il passato, si può sempre diventare migliori nel futuro. Il ragazzo perciò dovrà impegnarsi, anche lui, per riuscire a trovare pace, a concedersi l’occasione di andare oltre e riuscirà a farlo solo quando riceverà il suo perdono. Il senso del perdono infatti è un senso puramente interiore: non si perdona che per noi stessi e Gabriele alla fine riesce a mettere da parte ogni risentimento spinto dalle parole sagge della sua compagna. La disperazione lo porterà anche a distruggere il suo rapporto sentimentale, perché si troverà perso e solo nella sua acuta sofferenza. Ma alla fine deve ritrovare la sua serenità e per farlo deve voltare pagina. Infatti, quando si perdona, non lo si fa perché non si è più capaci di reagire, ma per un’esigenza profonda e assoluta che ci spinge consapevolmente non più verso un senso di giustizia e vendetta, ma verso ciò che è veramente giusto, cioè nella certezza che quel male debba essere lasciato scorrere lontano per sempre da noi. A impedirci di entrare nella ruota del cieco rancore, che porta solo a infettare i cuori, riempiendoli di frustrazioni e d’ire che inaridiscono e che intossicano, in 70 volte 7, Controcanto Collettivo ha voluto fossero le due donne, (la fidanzata e la sorella) simboli di razionalità, coscienza e sensibilità, le messaggere delicate e portatrici di pace. Il corso della storia e degli eventi verrà così modificato e portato verso prospettive inizialmente diverse. La sensibilità femminile, qui, con il suo linguaggio delicato e i suoi modi gentili, si contrappone all’istinto irrazionale e vendicativo che alimenta i due uomini. La reazione al dolore, infatti, è un fattore troppo intimo e personale, per essere stereotipato, perché racchiude anche innumerevoli frustrazioni causate dalla rabbia, la confusione generata dalla disperazione e la violenza provocata dall’incomprensione. Clara Sancricca fa un ingrandimento in cui mette a nudo e a confronto la coscienza dei due protagonisti, in due contrapposte e alternate prospettive e visioni delle cose. Ognuno viene analizzato, con le proprie debolezze, ma giunge comunque a uno stato di coscienza più elevato, quello della comprensione e dell’accettazione non solo presunta, ma reale, tangibile, che si compie nella scena finale, che ha commosso per la sua intensità; due uomini che l’uno davanti all’altro si scambiano con estrema difficoltà  i loro sguardi affranti, due uomini che si parlano appena osservandosi con difficoltà, consapevoli di ciò che hanno vissuto e che stanno vivendo, ma che alla richiesta di poter guardarsi negli occhi tremano e trovando il coraggio si affrontano umanamente attraverso un altro bel simbolo, quello delle mani, le mani colpevoli, violente, veicolo di quel male, che vengono osservate da molto vicino, ma è proprio lì, in quel preciso momento, che qualcosa si smuove nel profondo, poste sul tavolo vengono inaspettatamente strette da Gabriele e così lavate, purificare nel perdono sebbene per sempre consumate dal dolore che non potrà mai più essere  cancellato.

Pin It