di Fabiana Bartuccelli

NAPOLI. Periferia Est. Un campo di vite, aperte su una terra violentata.  La vita si espone comunque, non cede, soprattutto gli steli verdi, la creta viva da plasmare oltre il deserto e i muri della violenza. Dov’è la mappa che conduce all’uscita, dove il bosco del guaritore? Sempre dopo i rovi, forse nelle crepe. Barra non è un luogo. Barra è il prodotto del mondo che ha scelto di perdere il fuoco attorno al quale si nutre e si tramanda la vita. Ma quanti volti ha il fuoco. E quante mani. Un unico indistruttibile riso. E nel petto di questo quartiere si infiamma un ridere, quel moto trasversale che nel moto distruttivo di una storia senza fuoco riaccende un faro, ricrea un territorio, disegna una mappa per surfare il vuoto, si riprende lo spazio e risemina un tempo condiviso. Sono i ragazzi della cooperativa sociale Il tappeto di Iqbal, i messaggeri che tessono un ponte tra una fine e un inizio, gli anticorpi al male che avvelena il latte delle sempre attente e tornanti primavere. Ricominciare è un’attenzione. Sentire che è arrivato il tempo di arrivare. Quel non poterne fare a meno.

Come l’ha sentito Giovanni Savino, attore e regista, ideatore e organizzatore di questa iniziativa: l’esigenza di coagulare il bene in una realtà che lo ha sparpagliato e reso invisibile, rivolgendosi innanzitutto ai giovani attraverso forme nuove di fare cultura, dal circo al teatro e allo sport, non perché tutti siano artisti ma perché nessuno sia schiavo. Così, nel quartiere di Barra, Giovanni e soci, tra cui degli ex ragazzi di strada che reinventano loro stessi in motori di trasformazione del proprio quartiere, riusciranno a ottenere il permesso per installare un tendone da circo, un segno importante, un sogno importante, che si concretizza nello spazio e che fronteggia i tanti luoghi che la camorra ha sottratto al benessere degli abitanti. Per il benessere e per la libertà, riprendendo le parole dell’amato Robespierre, non sanguinario, ma poeta, come scrive una stella nostra. Ed è poesia che si attraversa, anche mentre ascolto Luca Privitera discorrere con Giovanni, con Antonio, con Ciro, in una delle giornate di studio del progetto Transiti, Luca che apre porte alle voci, tende mani dalle tante scene di Ultimo Teatro, il teatro che dà voce agli ultimi e tiene vivo il fuoco, e che qui installa in una scena viva anche quel pensare insieme che sta al centro di ogni rivoluzione. È questo il teatro, un insieme e uno scambio di forze che ci porta altrove. Trasfigurando un reale infecondo e fecondando un reale comune. Ci siamo divertiti a fare del bene, dice Giovanni. E questo divertimento è il fuoco acceso al centro del tendone, il punto dove nasce un affidarsi, per imparare, vedere, sentire, creare. Un divertimento pe li regazzi, un affronto pulcinellesco ad ogni fine, e che può propagarsi sulle infinite scene del mondo che non dimenticano la forza rivoluzionaria del ridere, e ridere insieme. Se la storia è il libro che gli uomini scrivono del mondo, essi sono il corpo della storia del mondo. Corpo in movimento, danza, coro. Se la storia è il libro che intreccia i corpi e le voci del mondo, la storia è il tappeto sul quale la vita può radicarsi in un volo. Se un volo è l’insieme dei fili che inventano la vita, ogni nodo è il luogo dove le forze si incontrano e scontrano, nella sfida infinita contro la caduta. Un nodo è una curva. Un passare dall’assenza d’orizzonte a una visione nuova.

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