PRATO. La felicità si taglia con il coltello, anche se le avverse condizioni climatiche non favoriscono particolari euforie e costringono gli spettatori, onde evitare sferzate gelide di vento e gocce obliqui di pioggia, ad accalcarsi nel foyer, seppur muniti tutti, anche i personaggi cromaticamente più assortiti, di mascherine, qualcuno addirittura doppia. Però, dopo tanti mesi di silenzio, paura, sconforto e desolazione, ci ritroviamo all’ingresso del Fabbricone, a Prato, perché lo spettacolo, Le nozze (si replica tutte le sere alle 19, fino a domenica 16 maggio, alle 18), va a incominciare. Dei personaggi dell’originale stesura cechoviana, il regista, Claudio Morganti, abituato a farsi beffa di tutto e tutti, conserva a stento i nomi sovietici, soprassedendo su tutto il resto, soprattutto quel che riguarda la bassezza borghese di fine ‘800, che nella sua personale rivisitazione prende la forma di una satira arboriana, catapultando la rappresentazione teatrale nella mitica televisiva Altra Domenica, con il polistrumentista e polifonico Roberto Otto & Barnelli Abbiati in qualità di sovversiva colonna sonora e il pasticcere greco, con un marcato influsso ciociaro, Luca Andy Luotto Zacchini, supportati, sullo sfondo muto, ma non per questo meno efficace, da Ilaria Francesca Marchianò, cameriera pasoliniana, ma anche un po’ keatoniana.

Non scriviamo questo per porre sul gradino di sotto Savino Paparella e sua moglie Monica Demuru, genitori senza alcun criterio, morale e demografico, di Arianna Pozzoli, sposa con dote, ma con le obbligazioni al Banco dei Pegni, di Oscar De Summa, conteso, insidiato e corroso, quest’ultimo, da Francesco Rotelli, modesto impiegato, affascinato, anche se non in grado di esternare tutta la sua passione per una gamba rotta che lo costringe momentaneamente su una sedie a rotelle, dalla goffa soubrette, Paola Tintinelli, così come non ci permettiamo di non rendere a Cesare e al buon dio quello che è di Gianluca Stetur, primo cameriere, nonché maldestro truffaldino e Francesco Pennacchia, generale mancato dell’esercito, con un udito modesto e una concentrazione a dir poco approssimativa, che compensa tutta la sua frustrazione militare sciorinando un’impressionante conoscenza marinaresca, che fanno poi tutti parte del Gruppo di lavoro artistico del Met, nato e consolidatosi in piena pandemia. L’accento parossistico e irriverente dei personaggi che condiscono più saporitamente la rappresentazione allontana, parecchio, la gravità della denuncia dell’autore russo circa la debosciata media borghesia dell’epoca che insegue, a tutti i costi, rubli e meschinità. Le nozze di Morganti non sono state, anche se forse queste erano le sue intenzioni, una ricomposizione critica delle accuse originarie contestualizzate ai nostri giorni cercando di affrontare il peso di un'anima corrotta con la leggerezza di una denuncia clownesca, ma un artificio teatrale nel quale la vecchia scuola ronconiana convola a nozze con il nuovo teatro, per un sodalizio che non fa alcun torto né alle vecchie rigide e rigorose discipline da palco, né alla nouvelle vague, dove i protagonisti, spesso e volentieri, seppur dimentichi del copione, possono dar vita e linfa alla propria creatività; e su questo, avremmo gradito e riso che si concentrasse il testo. Per ragioni di equidistanza critica, non certo morale, vivacchiamo, volentieri, nel mezzo, sorridendo e applaudendo alla prima come alla seconda scuola, preferendo comunque, sempre, la terza via, che è quella dei pugni nello stomaco, delle rappresentazioni che lasciano senza fiato, con un retrogusto di fiele in bocca, quegli spettacoli che alla fine, invece di chiedere a conoscenti piacevolmente incontrati in platea dove andare a finire la serata, si preferisce tornare immediatamente a casa, per restare soli, a pensare, a cercare di capire, spesso a piangere.

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