di Letizia Lupino

PISTOIA. Fa notte quasi improvvisamente; inaspettato in questa sera fresca che incalza e precede. Lui attende. La Fortezza Santa Barbara si fa nuovamente chioccia di un nuovo spettacolo, Teatri di Pistoia con SpaziAperti2021 ci invita nel Paradiso. Dalle tenebre alla luce, di e con Simone Cristicchi. Il palco è carico; a destra una scrivania con tutti i crismi che ci si aspetterebbe: una lampada, libri che solo un misurato caso potrebbe aver sistemato; dei fogli, una penna e l’atmosfera che rimanda è quella di un fumoso studio dell’800; immagino il sigaro che mal si trattiene dallo spegnersi. Poco dietro, imponente, un’arpa svetta e squaderna l’ingresso all’OIDA, l’Orchestra Instabile di Arezzo, guidata da Valter Sivilotti e che sarà l’accompagnamento terreno e spirituale della storia che ci verrà raccontata. Simone Cristicchi, cantautore, attore teatrale, paroliere immaginifico intreccia musica, immagini, parole. Costruisce. I commenti in platea si perdono, il tutto esaurito esaurisce il fiato che sospeso si aggancia quando ai violini, ai contrabbassi, quando alle trombe o ai fagotti.
Lui è ammaliante e genuinamente carezzevole nel mostrarci il viaggio universalmente intimo di Dante dall’Inferno al Paradiso, un cammino iniziatico che quasi ci costringe a fare ammenda, ma non tanto verso gli altri, quanto e soprattutto verso noi stessi, rei di un ripiegamento egoistico teso solo a chiudere e a distruggere: l’abisso d’altronde è solo l’altra faccia della vetta. Interprete moderno di una delle più grandi opere del nostro tempo, sorprende come settecento anni passino velocemente in secondo piano, una nuova natura fresca e rigogliosa e In quella parte ove surge ad aprire/Zefiro dolce le novelle fronde/Di che si vede Europa rivestire/Non molto lungi al percuoter de l’onde/Dietro a le quali per la lunga foga/Lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde. Trasposizione continua tra ciò che sembra allungarsi verso l’esterno da noi come un fluido luminescente che tutto ricopre a ciò che, invece, appare intimo, profondo, sideralmente piccolo. Ed è proprio attraverso il siderale, l’astrale, lo smisurato sentire che Cristicchi si fa vessillo attraverso una narrazione che sembra favola e canzoni inedite e ci mostra, ce lo indica il desiderio, la mancanza di. La tensione verso le stelle, la cresima ultima di noi stessi. Noi siamo stelle. Non importa se in questo nostro nuovo vedere abbia cominciato a piovere, vuoi che non sia una catarsi? Lavàti da una polvere che ammorba rimaniamo lì a farci scavare ancora e ancora e a provare a farci cercare e saper riconoscere chi e cosa in mezzo all’inferno, non è inferno e a farlo durare, e a dargli spazio.
