di Wijdane Boutabaa
PRATO. Non c’è dubbio: nel corso della vita si deve compiere ciò per cui si è nati. Ma la paura può giocare brutti scherzi, e allora si rischia di diventar troppo ragionevoli e prudenti, dimenticandosi degli spiriti e delle passioni con cui eravamo venuti al mondo, diventandogli insensibili. Perciò si deve resistere alla pressione esercitata dai grandi giganti, che marciano coi loro corpi pesanti sulla dura e arida terra e che non pensano, neanche per un secondo, al cielo così vicino alle loro teste. E come al solito, le anime più leggere, ovvero quelle che si fanno trasportare volentieri dal vento, sono anche quelle che con maggiore facilità non vengono sostenute da chi di dovere, costrette così a vagare in un mondo in cui ad avere la meglio è sempre il concreto e la triste ragione produttrice di materialità. E che anzi vengono schiacciate dai piedi pesanti dei giganti, dei direttori generali e di tutti coloro che pian piano, col passare degli anni, finiscono di morire, e quello hanno il coraggio di chiamare vita. In questa realtà, insomma, non c’è spazio per l’arte, se non in decadenti ville confinate ai margini e abbandonate da tutti, in cui si sopravvive solo nel ruolo di poveri cristi falliti e isolati dagli altri.
Cristi nel senso di martiri, che non si arrendono alla realtà prevalente, da cui sono rinnegati, e che tentano con ogni sforzo di rivendicare sé stessi con le loro sole forze, portando la loro poesia fra le masse, senza mai rinunciare al sogno, o forse all’illusione, di riuscire nell’impresa. Ma avere avuto la possibilità di assistere all’arte di Valentina Banci ti fa credere, e intensamente, in quest’impresa. Lei, sola su un palco tutto per sé, si prende la briga di dar vita a tanti fantasmi, ovvero a tutte le maschere dell’opera: I giganti della montagna. E questo è il preludio perfetto al suo pensiero, che esplode irrefrenabile al culminare della sua opera. Qui Valentina si lascia andare in un pezzo interamente scritto e pensato da lei, e tramite il quale veicola alla perfezione il dolore di vivere in un Mondo che non sa più assaporare il gusto dell’arte, della poesia, del talento, dello spirito e non riconosce il valore innegabile e assoluto del bello in sé. Un dolore che è suo come di molti altri, che come lei lo vivono intensamente, e che ti colpisce proprio in quanto fisicamente presente su quello stesso palco, insieme a tutti gli altri spiriti e fantasmi. E nonostante il dolore, il sentimento che prevale è la forza del bello, che si palesa con tenacia. E d’improvviso, come diceva Luigi Pirandello, ci si sente qui come agli orli della vita, e succede che con la sola volontà di Valentina, gli orli si scuciono, lasciando penetrare nella sala del Teatro Borsi l’invisibile, i fantasmi, facendo succedere nella veglia quel che è tipico del sogno. E non c’è cosa più dolce che naufragare fra tutti questi spiriti.