FIRENZE. Non è un gioco a tre, anche se sul palco del Cantiere Florida, a Firenze (si replica stasera, 22 gennaio), ci sono solo, oltre a un quadro luminoso che scandisce il percorso a ritroso di sette anni di infedeltà, Michele Sinisi (regista), Stefania Medri e Stefano Braschi, che sono il tradito, sua moglie e l’amante, che è poi il miglior amico del cornificato. Contesto vip, infatti e però - con un editore, sua moglie e un talent scout letterario -, quello degli anni del boom, dove Harold Pinter, il drammaturgo, l’ha ambientato, facendo scivolare la gelosia, la rabbia, le disillusioni su un altro piano, che non contempla minacce, vendette, ritorsioni, elementi che appartengono al volgo, alla plebe e che non sono contemplati da Tradimenti, prodotto da Elsinor e che ha dato il via alla stagione di prosa del Florida. Anche perché non c’è una fedifraga, una vittima inconsapevole e un avvoltoio, ma un circolo viziosissimo nel quale, oltre ai tre protagonisti, orbitano anche tutti i loro amici più stretti e che appartengono a questo originalissimo club dei dannati dell’amore. Senza maledizione alcuna, però; l’unico vizio consentito, è l’alcool, trangugiato con relativa moderazione, anche se spesso, a bere, si inizia la mattina presto, a colazione.

È un po’ una ricerca delle occasioni perdute, visto e considerato che la rappresentazione (particolarmente fortunata al cinema, con un Oscar sfiorato) racconta il ménage riavvolgendo la pellicola; lei e il suo amante, dopo sette anni di sotterfugi pomeridiani in un appartamento preso in affitto, si sono rimpossessati delle rispettive certezze familiari precedenti, ma in un incontro, non proprio casuale, scoprono vicendevolmente, con un mix di nostalgica gelosia, i propri altarini, credendo che durante i sette anni di amore proibito, vittime e spettatori non si siano accorti di nulla. Tutti, invece, sapevano tutto e tutti han preferito soprassedere; un po’ perché sarebbe stato incivile dare escandescenze, ma soprattutto perché tutti, a loro volta, tramavano nel buio. Nulla di rivoluzionario, certo; Pinter ha meravigliosamente gigioneggiato con tutto il suo materiale per tutta la sua vita (che gli è valsa un Nobel, tra l'altro), ma sarebbe stato facilissimo, per Michele Sinisi, cadere nella morsa e trappola mortale di mettere in scena qualcosa che scivolasse sul corpo degli spettatori senza mai un sussulto. E invece, onore al macchiettismo di Stefano Braschi, fascinoso amante, ma sostanzialmente pigro; alla sensualità, appena accennata, di Stefania Medri, che prende il sopravvento negli ultimi minuti dello spettacolo, quando balla, senza inibizione, la musica degli anni ’80, ascoltata alla festa di nove anni prima, quando il testimone di nozze del marito le confida, seppur visibilmente ubriaco, la sua passione, che diventa poi il suo amore; al rigore intellettuale di Michele Sinisi, che subisce, con estrema nonchalance, nonostante ne sia al corrente, il tradimento della moglie, pensando addirittura che quella distrazione, lunga sette anni, in qualche modo possa addirittura fortificare il suo matrimonio e perché no, anche quello dell’amante della consorte, anch’egli sposato, e con figli, con una dottoressa ospedaliera che non disdegna le attenzioni dei colleghi. La maledizione dell’amore è servita; riconoscersi in uno di loro o in tutti e tre è davvero un attimo.

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