PISTOIA. Geniali, cazzo, fin nel midollo. Li conosciamo bene quelli di Sotterraneo, ma con L’angelo della storia sono andati oltre. E non è certo il Premio Ubu (che bissa quello ottenuto un lustro fa con Overload) che è stato loro conferito per questa rappresentazione che infilza il tempo e la storia, un balletto senza coordinate, con un inizio e una fine programmati, uno start e un arrivo affidato ai telefonini degli spettatori, tra cori a cappella, ritmo forsennato, incursioni grammaticali e temporali a orologeria, brevi semiseri proclami politici e morali, coreografie danzanti alla John Landis e la solita, straordinaria, glaciale presenza scenica a spingerci così tanto nel campo delle glorificazioni, ma stavolta Sara Bonaventura, Claudio Cirri e lo scrittore dietro le quinte Daniele Villa hanno esagerato davvero, portando a compimento un piccolo, immenso, capolavoro. Il Teatro Bolognini, a Pistoia, che ha ospitato la compagnia, in molte circostanze, residente proprio all’Atp, ha avuto il piacere di mangiarseli vivi a suon di applausi, ieri sera, i protagonisti, che per questo concerto a più strumenti hanno assoldato, alla causa sulla scena, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati e Giulio Santolini, straordinari soldati per questa guerra di tutti sconfitti, senza nemmeno un vincitore.
Il pretesto filosofico, il volo pindarico di Walter Benjamin, che immagina di poter salvare l’umanità, è la ciliegina intellettuale che sta sopra, ma senza sovrastarla, la singolare dinamica degli eventi, che rimbalzano, in modo cinico e divertente, tra gli scherzi preistorici degli uomini primitivi e la fine mai saputa delle seconda guerra mondiale da parte di un devoto soldato giapponese, passando tra gli innumerevoli parti della dinastia dei Windsor, l’inizio e la fine del Comunismo, le riunioni clandestine dei Partigiani romani, quelli che pianificarono il raid di via Rasella, la mitologia americana, esposta alle radiazioni, dei western di John Wayne e la fine annunciata, ma mai tentata di evitare, del mondo e dei suoi precari, se non curati, equilibri geotermici, con un branco di balene che seguono, religiosamente, la loro capobranco disorientata e destinata, inesorabilmente e fatalmente, a spiaggiarsi. Ma tutti questi dettagli appena accennati, con non esauriscono, tra l’altro, il magma delle informazioni ricevute, sono davvero ben poca cosa al cospetto della meravigliosa coordinazione psicofisica che anima la scena. Un inimitabile corpo di ballo, un saggio teatrale di intromissioni, una lucida lettura della storia e degli eventi, una ferrea e rigorosa armonia sincronizzata, una scrittura circolare che non presta, mai, il fianco a cadute di stile, abbassamenti della guardia, cali ed eccessi di tensione, una minuziosa scelta coreografica, che pare povera e artigianale, ma che esalta la meravigliosa proprietà transitiva del riciclo e della fantasia; partono a razzo i cinque protagonisti e sull'impegnativa e pericolosa lunghezza d’onda dell’abbrivio restano incollati per tutta la rappresentazione, senza chiedere complicità al pubblico, che seppur attratto dalla loro adorabile professionalità, potrebbe anche voltar loro improvvisamente le spalle e iniziare il rito cannibalistico dello sbranamento. Sono rischi che si corrono quando in meno di venti anni, Sara, Claudio e Daniele, che sembrava volessero semplicemente scherzare rispetto alla struttura canonica del Teatro, hanno iniziato, in particolare dal 2009, da Dies irae, a inanellare spettacoli che sfuggivano a qualsiasi etichettatura e che riscontravano inaspettati e inaspettabili apprezzamenti trasversali. Con L’angelo della storia hanno definitivamente consacrato i loro studi giovanili e si sono irremovibilmente piazzati in un angolo con il quale, il Teatro che verrà, dovrà, necessariamente, fare i conti. Per questo, consigliamo loro, ringraziandoli ancora una volta per la bellezza delle loro manifestazioni, di fermarsi, per un po', per un tempo da definire, a godere e parecchio, proprio come fece, dopo il secondo album, Donald Fagen e gli Steely Dan a cui nessun gruppo musicale riesce mai a ispirarsi e dar vita a improbabili tributi.