PISTOIA. Anche stavolta, anche in questa Uno sguardo dal ponte, il dubbio che Massimo Popolizio si piaccia troppo e che il suo super ego lo trascini, inesorabilmente, verso l’interpretazione di sé stesso, oltre che non allontanarsi, si è addirittura fortificato. La sua bravura, intatta e inviolabile, si scontra, sistematicamente, proprio con la sua caratura, fino al punto di concedersi pericolose licenze, come quella, ad esempio, che si è presa, ieri sera, al Manzoni di Pistoia (ultimo appuntamento della stagione in prosa 2022-23; si replica oggi, domenica 23 aprile, alle 16), facendo dialogare Eddie Carbone, siciliano emigrato negli Stati Uniti, in romanesco. E attorno a un solo dettaglio si può costruire una critica? Beh, se si tratta di una caratteristica che contraddistingue la rappresentazione di uno degli ultimi dinosauri della scuola di Ronconi, sì, soprattutto riavvolgendo la pellicola dello spettacolo, diretto dallo stesso Popolizio, un crescendo, inesorabilmente letale, della passione, morbosa, con la quale si prende cura, in un’altalena di emozioni che rimbalzano dalla cura paterna al desiderio erotico, di Catherine, la giovane nipote (Gaja Masciale), che non ha ben capito fin dove possa arrivare l’attenzione dello zio, nonostante le raccomandazioni e gli ammonimenti della zia Beatrice (Valentina Sperlì), moglie insoddisfatta che comunque non farà a meno di prendersi cura e dare degna ospitalità ai parenti clandestini siciliani (Raffaele Esposito – Marco - e Lorenzo Grilli – Rodolfo) del marito che arrivano al porto di New York in cerca di lavoro e soprattutto di un’altra occasione.
Anche l’avvocato Alfieri (Michele Nani), voce narrante del testo di Arthur Miller, prova, con l’insindacabilità della Legge, ad attutire l’immotivata e incontrollata attenzione che il suo cliente nutre nei confronti della nipote e che nulla potrà fare per fermare e cercare di dissuaderla nel volersi unire in matrimonio proprio con Rodolfo, questo giovane siciliano, immotivamente biondo, anche un po’ effemminato, amante della musica e del ballo, abile tuttofare, dotato, oltre che di abilità e agilità, anche di una connaturata simpatia che gli riconoscono tutti, negli anni ’50, sulla costa orientale degli States. Non si capacita, Eddie Carbone, come la sua nipotina, nel frattempo, sia potuta diventare una donna e come i suoi sorrisi e la sua riconoscenza si siano potute trasformare, con il trascorrere degli anni, in un amo voluttuoso al quale non riesce a non abboccare, nonostante capisca perfettamente come quella detestabile attenzione lo porterà a cadere negli inferi. Non può arrendersi all’idea che la nipotina si sia invaghita di un suo coetaneo, così diverso dallo zio, e farà di tutto, fino all’infamia della denuncia anonima all’ufficio immigrazione, per farla dissuadere dal suo intento matrimoniale. Una tragedia di povertà, solitudine, di irrisolte storie di emigrazione, farcite da ulteriori miserie, criminalizzazioni dell’omosessualità, penosi tentativi di abbrutimento giovanile, che vengono drammaticamente risucchiate dal cono di un inspiegabile desiderio incestuoso, una macchia indelebile, un’onta imperdonabile, una piccola storia ignobile che riuscirà comunque a mettere in subordine tutte le altre tematiche dell’opera fino al punto di annientarle e sacrificarle sull’altare della forza bruta e distruttrice di una cieca e irrisolvibile passione. Ogni volta che ci imbattiamo nella recitazione di Massimo Popolizio abbiamo sempre l’impressione che sulla sua monumentale figura attoriale campeggi l’incontrovertibile ragione del Marchese del Grillo, quando riesce a scampare l’arresto: perché io so’ io e voi non siete un cazzo.