di Ilaria Fontana
PISA. È semplice non fare più di quel che l’indole umana vorrebbe esigere da sé stessa per non essere travolti dall’ansia del vacuo quotidiano; è possibile liberarsi dalla paralisi dei sentimenti non corrisposti. Basta, dannarsi, nella ricerca di relazioni senza legami spontanei! È davvero spaventoso accorgersi che è inutile fare incastrare con tenacia le tessere di un puzzle esistenziale che invece diventa grazioso seppure con spazi vuoti? Sì o no? Su un palcoscenico orfano di scenografia, privo di sipario, ma in un teatro pieno di persone, è stata la “La Grazia” a insegnarlo, l’opera scritta e messa in scena da Luca Oldani. Questo il debutto al Teatro Nuovo Pisa dello spettacolo che ha visto protagonisti, insieme all’ideatore, Francesca Camurri e Giorgio Vierda, sapientemente guidati dalla regista Irene Serini. Con freschezza e dinamismo, i tre giovani attori hanno preso possesso di uno spazio in attesa solo di essere riempito delle loro voci e dei loro vivaci movimenti. Così, con danze e canzoni, i personaggi hanno evocato emozioni e fragilità in cui lo spettatore non può non rispecchiarsi, riuscendo a evocare immagini con la sola forza delle parole e dei loro corpi. È un’opera ricca di dialoghi privi di una logica - sequenziale, caratterizzata da una successione surreale di eventi che si ripetono ciclicamente, a metà tra il tragico e il comico i cui personaggi, con l’aiuto di semplici oggetti in apparenza eccentrici, si confrontano, discutono e desiderano trovare la soluzione all’assenza di concretezza. Nessuna emozione è sensata se dettata da una società che impone di non fermarsi. La soluzione, forse, è ricorrere alla grazia di fare meno e capire che il vuoto non esiste se esiste la consapevolezza che per riempire le giornate è sufficiente la spontanea abilità insita in ciascuna persona. Allora può bastare non cancellare le tracce di gessetto che disegnano la griglia del gioco della campana oppure osservare le orme di un cerbiatto. Graziose sono le immagini evocate, graziosi sono i pochi oggetti maneggiati, graziosa la meringa, simbolo di leggerezza contro la pesantezza della gabbia del dolore. Gradita, infine, la canzone Le Meringhe, interpretata da Bernardo Sommani, con la quale il pubblico è stato accompagnato all’uscita del teatro.