PISTOIA. La miglior testimonianza in favore di un’opera è la silente resistenza che il pubblico le tributa. E di questi tempi, dove la soglia d’attenzione è oramai prossima allo zero, vedere un Teatro (Manzoni) pieno come nei tempi migliori, che sono passati, ma che torneranno, restare scolasticamente al banco (ma in una scuola parificata, beninteso) per circa tre ore senza chiedere alle maestre di turno d’andare al bagno e senza fare i rumori del cellofan delle merendine scartate di nascosto, credeteci, è straordinario. Tutto facile, potreste obiettare, quando dietro la cattedra, oltre a vari insegnanti di sostegno che gestiscono gli effetti collaterali, c’è la professoressa Manuela Mandracchia. Verissimo, perché è un talento vero, puro, che si prende immediatamente la scena da giudicatrice implacabile accompagnando la rappresentazione fino ai titoli di coda, dove si congeda da commovente e pietosa giudicata. Dentro, ma anche fuori, ovunque, c’è la bollente, afosa, annoiatissima provincia americana, quella adorabilmente descritta da Tracy Letts e portata in scena, dopo la trasposizione cinematografica di John Wells, con Maryl Streep e Julia Roberts, a Pistoia, in prima regionale, da Filippo Dini, che come succede puntualmente, per i suoi spettacoli, assolda un esercito di professionisti capaci di adattare, esemplarmente, le singole capacità alla causa del testo, anche con la consapevolezza che nello specifico contesto, ognuno avrebbe potuto dare molto di più. Ma il Teatro di maniera è questo, anche se dopo, calato il sipario, quando si ritorna verso casa, ci restano, negli occhi e nella mente, solo e soltanto, e nulla più, le straordinarie capacità recitative e attoriali di alcuni dei protagonisti, ai quali, in più di una circostanza, abbiamo tacitamente riservato più di un WOW che si addicono e riservano solo ai fuoriclasse. La commedia, più che degli equivoci, è delle ipocrisie, dove la famiglia Weston si ritrova al gran completo (figlie, generi e nipote) a causa dell’improvvisa scomparsa del padre, Beverly (Fabrizio Contri, che indossa anche i panni dello sceriffo della Contea dell’Oklahoma), un alcolizzato recidivo che forse si è dato anima e corpo allo stordimento etilico in virtù della farmacodipendenza della moglie Violet (Anna Bonaiuto), che a sua volta difende la propria tossicità farmaceutica in virtù dell’alcolismo del coniuge. Questa è l’unica tragicità, dai contorni comici, della commedia, perché ognuno, nella villa di famiglia situata nel bel mezzo della Grande Pianura e dalla quale, tutti, appena han potuto, han preferito allontanarsi, eccezion fatta per Ivy, l’ultima figlia (Stefania Medri), recita la propria detestabilissima parte. Quella che sembra essere la figlia meno distante dalle malate alchimie coniugali dei vecchi genitori è proprio Barbara Fordhman (la docente romana), moglie di Bill (Filippo Dini), che hanno una giovane figlia, la quattordicenne Jean (Caterina Tieghi), ginnasta prestata al Teatro, che appartiene alla generazione, ahinoi, non solo americana, dei video/cellularedipendenti con una naturale propensione allo sballo. Tutti gli altri protagonisti sono cresciuti sugli agi e sui soldi costruiti dalla fatica, dai sacrifici e dalle rinunce dei coniugi Weston, detestabili personaggi di una piccola borghesia che fonda e affonda sé stessa nel perverso meccanismo delle apparenze, dietro le quali si nascondono tutti i piccoli e grandi vizi della società, dove l’unico amore declinabile, possibile, autentico, è quello claudicante, nascosto, malato dei cugini Ivy Weston (Stefania Medri) e Charlie Piccolo Aiken (Edoardo Sorgente), che sono in realtà fratellastri, e dell’amore smisurato per la vita in tutte le sue declinazioni deontologiche da parte della governante indiana, Johanna Monevata (Valentina Spaletta Tavella), l'unica che prova a inorridirsi e ribellarsi alla letale finzione quotidiana e che per sua fortuna, dell’America alla quale i suoi genitori han chiesto asilo, ne è solo nativa. Oggi, alle 16, l’unica replica e per questo, per non spoilerare un sacco di altri peccaminosi e funzionali dettagli, il nostro racconto non aggiunge altro.