FIRENZE. Le cose, forse, non stanno proprio così. Ma pensandoci bene, molto peggio, probabilmente. Certo, le catastrofiche previsioni di Rémi De Vos hanno una data ben precisa, il Duemila, come se si trattasse delle Colonne d’Ercole, e un Paese, la Francia, culla di storie problematiche molto più profonde e ancorate di quelle che non riusciamo a superare noi. Ma il disagio resta transnazionale e allora, Occidente, in prima nazionale al Teatro di Rifredi fino a domenica prossima, 19 novembre, è veramente lo specchio, tragicomicamente fedele, della nostra società, fotografata all’interno di un anonimissimo microcosmo familiare, dove una moglie (Leonarda Saffi) e suo marito (Ciro Masella), cercano in tutti i modi di annientarsi reciprocamente, facendosi teneramente del male. Rappresentano un matrimonio nato sotto i peggiori auspici e che è riuscito a trascinarsi fin dove l’autore ha deciso di passarlo sotto i raggi ics per spogliarlo da ogni finzione e metterlo a pubblico e interiore ludibrio. Non è una coppia qualsiasi quella che Angelo Savelli, traduttore e regista dell’idea transalpinica, manda in scena; al di là del nichilismo personale dei singoli coniugi, sullo sfondo incombe un cambiamento che l’Occidente non riesce a gestire e che diventa il pretesto attorno al quale poter costruire ogni alibi che possa giustificare l’inesistenza di qualsiasi elemento affettivo e autorizzare, entrambi, a sputare fuoco, sentenze, veleni e offese nei confronti del partner. Il quadro, tetramente allegorico della scrittura, prende forma nelle interpretazioni di quel passepartout teatrale che risponde al nome di Ciro Masella, che tra le moltitudini di personaggi ha anche vestito i panni di un'altra rappresentazione di De Vos, in Alpen Stock e al candore isterico di Leonarda Saffi, una delle elette della rigorosa scuola di Emma Dante, abituata a trasformare il dolore in umoristica energia. Che arrivano in scena con uno sfondo sul quale scorrono velocemente gli anni; sono quelli che segnano i primi inganni storici della vecchia contesa Occidente/Oriente. Il tempo passa con inesorabile fretta, ma si arresta improvvisamente al cospetto della famiglia come vorremmo continuare a non immaginarcela, quella che ormai procede a stento verso il nulla, alimentando il proprio fuoco solo con l’acredine che accende la coppia, disintegrata dalla violenta volgarità del marito e dalla totale disillusione della moglie, subissata, ogni sera, dalle gratuite e laceranti offese del consorte che rincasa, puntualmente, ubriaco. Gli sketch, dal sapore televisivo, si susseguono con piccolissimi intervalli nei quali, sul palco, rotea un enorme telone sul quale gira una giostra, che qualche volta fa da sfondo obliquo, altre, da muro divisorio. In scena, la bistrattata casalinga alle prese con il ferro da stiro che può confidare in un’unica compagnia: la televisione accesa che trasmette programmi vuoti ricchi di risse, scandali, gossip della peggior dinastia e suo marito, che rientra barcollante nell’appartamento dopo aver trascorso le serate a bere nei peggiori locali in compagnia dell’amico Mohamed. Tra una puttana e ce l’hai piccolo si alimentano le misere conversazioni dei coniugi, che non riescono a nascondere, nemmeno più a loro stessi, il nulla che ormai si è impadronito dei loro destini matrimoniali. Sullo sfondo, come pesantissima aggravante, la società che cambia ritmi e costumi, le invasioni extracomunitarie, i duelli notturni per la sopravvivenza dei reietti, immagini pasoliniane che acuiscono l’inconsistenza affettiva della coppia, che però può far tesoro della propria trivialità lasciandosi assoldare e vivisezionare da una diretta televisiva di uno dei canali di maggior ascolto, nel quale Leonarda e Ciro, pugliesi doc, animano una scenetta in puro dialetto di ilare tragicità. Un Occidente inesorabile, dove la noia si uccide con l’alcool e dove si aspetta, seduti davanti alla tivvù, l’incalzare della notte; un Occidente triviale, dove le volgarità proferite vorrebbero sostituire l’impotenza anatomica; un Occidente che non riesce più a parlare e che ha deciso di sollevare il verbo dalle sue funzioni in favore di una violenza che non ha più bisogno di sintassi; un Occidente dove tramonta naturalmente il sole senza però riuscire a dargli la forza per circumnavigare la terra e decidere di sorgere ancora.

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