PISTOIA. L’equazione che (col)lega il commediografo Roberto Valerio al proprio pubblico è rigorosa e tassonomica. Lo abbiamo visto crescere e diventare uno dei più applauditi registi senza distinzioni regionali, senza che il successo lo abbia mai indotto a esagerare, bearsi e crogiolarsi ed esonerandolo da improvvide sperimentazioni. Lui si (ri)conosce nelle commedie e da queste non ha la minima intenzione di allontanarsi. Come ieri sera, al Teatro Manzoni di Pistoia, dove ha debuttato la sua nuova messinscena de Il giuocatore, una delle innumerevoli scritture di Goldoni, nello specifico autobiografica e terapeutica e ancora, ahinoi, mostruosamente attuale, visti i numerosi ricoveri di soggetti dilaniati dalla ludopatia in strutture di reinserimento, quelle che una volta erano stabilmente occupate da eroinomani. E ancora una volta, la scena, se l’è presa il progettista e il suo viavai di personaggi che popolano il vascello che conduce alla deriva vincitori e vinti, traditori e traditi, furbi e sciocchi, con un esemplare dosaggio di personaggi principali e figure carismatiche così interscambiabili tra loro che quando cala il sipario non si ha ben chiaro su quali mani deporre lo scettro del mattatore. Certo, Florindo Aretusi (Alessandro Averone) è il perno attorno al quale gravitano tutte le vicissitudini, lo sciupafemmine di turno, lo sposo promesso alla giovane Rosaura (Mimosa Campironi), che tra una sciagurata scommessa e l’altra non disdegna il bene effimero di Beatrice (Roberta Rosignoli), l’amante, ma non solo, visto che anche con lei si è ufficialmente impegnato e, all’occorrenza, di ingannare, per poche centinaia di zecchini, l’amore e l’ardore non ancora tramontati della vecchia Gandolfa (Alvia Reale), sorella del futuro suocero, Pantalone de’ Bisognosi (Davide Lorino), imbufalito oltre ogni ragionevolezza, ma che prima della chiusura del sipario offrirà al futuro genero ancora un’opportunità. L’andirivieni che alimenta, senza tregua, la scena ha bisogno anche, e in modo vitale, della simpatia chimica di Pancrazio (Nicola Rignanese), l’anello di congiunzione ideale tra il dramma della ludopatia e la tragicomica verve goldoniana, proprietario del Casinò dove Florindo dilapida tutti i suoi risparmi, fino ad arrivare a impegnare monili e dignità, e dei due astuti farabutti, Agapito (Massimo Grigò) e Tiburzio (Mario Valiani) che conoscono le adrenaliniche debolezze del gioco sofferte dal protagonista. La trama, che risulta impeccabile anche da un semplice punto di osservazione cronologico (la piaga della ludopatia sta acquisendo contorni drammatici, con la complicità di uno Stato che produce gratta e vinci, lotterie d’ogni sorta, ma con la subdola avvertenza riservata ai consumatori degli smisurati rischi dell’azzardo), non gode e non soffre di suspence, ma si mantiene, dall’inizio alla fine, senza mai perdere ritmo, vivacità e simpatia, lungo i binari del puro intrattenimento. Così è Roberto Valerio e così il pubblico, il suo pubblico, lo vuole, con tutta la carovana di attori e attrici al seguito che ne caratterizzano, inconfondibilmente, la traccia. Quasi sempre, nei suoi lavori, l’adattatore/regista Roberto Valerio si ritaglia una piccola gemma, con la quale, oltre a dividere e condividere con l’intero cast la fatica delle prove e l’emozione della rappresentazione, riesce soprattutto a sigillare l’intera operazione-simpatia che corona, puntualmente, ogni suo spettacolo. Stavolta, invece, l’artista romano, ha preferito restare dietro le quinte e dietro la macchina da presa, confidando nel felice sodalizio produttivo con Teatri di PistoiaCentro di produzione teatrale (il Manzoni, quando arriva Roberto Valerio, si riempie) che a sua volta si è affidato ai costumi di Guido Fiorato, alle luci di Emiliano Pona e alle musiche, nella fattispecie dal vivo, della pianista Mimosa Campironi, che senza svestire i panni di Rosaura ha fatto vedere cosa altro sa fare, l’illusa innamorata.

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