PRATO. È una commedia senza tempo, Natale in casa Cupiello; non ora, ma sempre, per sempre. L’idea di Lello Serao, nonostante non si sia permesso il lusso di alterare una sola virgola del capolavoro di Edoardo De Filippo, è tanto originale, quanto bella. Trasformare casa Cupiello nel presepe di casa Cupiello, dove l’unico protagonista, Luca Saccoia (con un fisico e una sagoma dolomitiche, in verità, ma che slenga correttamente napoletano), è la voce narrante di tutti e sette i personaggi che animano la scena. Eravamo convinti, fino a rasentarne la scommessa, che questa rilettura della commedia delle commedie si sarebbe preso lusso e licenza di stravolgerne l’essenza, casomai partendo, al contrario, dal distico che scatena tutta la rappresentazione: Tommasì, te piace ‘o presepe? Sì. No, non avevamo capito (e per fortuna non siamo andati al botteghino della Snai, perché avremmo perso) che l’idea del regista fosse soltanto quella di rendere, ancora una volta, omaggio a quella scrittura che trabocca arte, poesia, commedia, amore, tolleranza. La scena, quella allestita al Fabbricone di Prato (si replica stasera, alle 19,30 e domani, 15 dicembre, nel pomeriggio), è un funambolico allestimento circense di cartone; è la sala da pranzo di casa Cupiello, all’aperto, come se fosse una piazza, attigua a un condominio dalle cui finestre si affacciano tutti i protagonisti che relazionano con gli unici due abitanti della stanza, Luca, il padre e Tommasino, il figlio: la moglie, suo cognato, la figlia, il genero e l’amante della figlia. Per tutti coloro, Tiziano Fario, lo scenografo, ha costruito altrettanti pupazzi, animati, a loro volta, da giovani manovratori, che entrano ed escono in scena a seconda delle necessità. A parte qualche timidissimo volo pindarico, il testo è un riassunto, fedelissimo, della scrittura primaria, nel rispetto, religioso, di ogni passaggio, di tutte le consecutio, di qualsivoglia battuta. Alla fine del primo atto, sempre in sintonia con le impressioni che avevamo prima di vederlo, abbiamo pensato che alla riapertura del sipario, dopo aver scandito tutti i punti fermi della commedia, il regista si sarebbe preso alcune licenze - anche oscene e blasfeme, eh; eravamo pronti a tutto - e avrebbe indirizzato altrove la storia di quell’indimenticabile e inimitabile Natale. Nient’affatto. Luca Saccoia ha continuato, imperterrito, a muoversi con il corpo, il diaframma e gli arti superiori lungo lo spazio scenico, entrando con disinvoltura nei corpi minuscoli di quei pupazzi e dando loro, a ognuno di loro, tutta la vita della rappresentazione. Un lavoro importante, per nulla povero, in un gioco di luci, riverberi, ombre, voci, sontuoso, esemplare, impeccabile; un omaggio, gradito, siamo convinti, anche dal diretto interessato, che però, al di là della sua originalissima versione, non aggiunge nulla a quello che è, di per sé, forse, la commedia, impeccabile, per antonomasia. Abbiamo avuto la fortuna, da bambini, di essere stati portati, a forza e controvoglia, a vederlo, quello spettacolo, al Sistina, a Roma. Troppo lungo, per le nostre adolescenziali capacità, resistenze e interazioni intellettuali, ma terribilmente potente da scuotere le nostre giovanissime emozioni. Poi, di quel Natale di quella casa, abbiamo avuto la fortuna di vederne la versione, apocrifa, ma di dogmatica bellezza, di Antonio Latella (al Manzoni di Pistoia) e quella, impropriamente ilare, di Vincenzo Salemme al Verdi di Firenze. Questa di Lello Serao si pone esattamente nel mezzo, in modo equidistante da qualsiasi punto cardinale; non si possono obbiettare storture, né si può discutere su improvvide angolazioni. La versione marionettistica di Natale in casa Cupiello è un vero e proprio atto d’amore; al Teatro, a De Filippo, al presepe e alle famiglie, anche a quelle che avrebbero dovuto abbandonarsi e dirigersi, ognuno, per la propria strada, ma che hanno fatto di tutto, riuscendoci, tra l’altro, per restare insieme.

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