di Sara Pagnini

FIRENZE. Il Maggio Musicale ospita il debutto fiorentino della compagnia Les Ballets de Monte-Carlo (compagnia nata nel 1985, erede dell’importante tradizione coreutica monegasca) lo spettacolo Roméo et Juliette, il balletto basato sull’omonima tragedia di William Shakespeare, musica di Sergej Prokof'ev (sul podio, alla guida dell’Orchestra del Maggio, il maestro Garrett Keast, anche lui al suo debutto fiorentino), con la coreografia di Jean-Christophe Maillot (si saranno notate in giro per Firenze le accattivanti locandine disegnate da Gianluigi Toccafondo). E questo è già di per sé un evento per questa città. Scordatevi innanzitutto l’idea che avete di Romeo e Giulietta; Maillot ne dà una prospettiva diversa, un diverso punto di vista, e cambiare modo di vedere spesso fa bene. Centrale in questa coreografia è il tormentato personaggio di frate Lorenzo, che, pur cercando di fare il bene dei due innamorati, alla fine ne provoca la morte. Frate Lorenzo (nella recita del 10 interpretato da Jaat Benoot, molto magro, molto alto, molto austero) è il filo conduttore che attraversa l’opera dall’inizio al suo concludersi, vestito di bianco e di nero (luce/ombra, bene/male), alla fine del dramma si chiede come, un gioco quasi innocente tra ragazzi adolescenti, abbia potuto portare a tale tragedia. I Capuleti e i Montecchi di Maillot sono in effetti solo dei ragazzini giocosi, frivoli, spensierati, in verità neanche si odiano, fino a quando il gioco sfugge loro di mano e si innesca una spirale di violenza; la ragione vacilla, annebbiata dall’odio dei giovani amici di una fazione e dell’altra e dall’amore dei due. E qui il coreografo dà nuove indicazioni su come poter sfruttare lo spazio del palcoscenico; si è persa la razionalità della ragione del resto; pochi i momenti in cui i ballerini si rivolgono al pubblico, in modo frontale; danzano piuttosto in cerchio o sfruttando il lungo spazio delle diagonali. Il pubblico quindi è chiamato a partecipare, come dire, di lato, appunto, costretto a un nuovo punto di vista. I danzatori hanno una considerevole mimica facciale, ballano prima di tutto, ovviamente, ma riescono a essere talmente espressivi da potere sembrare anche degli attori; d’altronde, il balletto prende in prestito dalla settima arte numerosi strumenti. Inoltre, nella riscrittura coreografica di Maillot, i ruoli principali sono affidati a ballerine; certo, Giulietta, ma anche la sua nutrice (nella recita del 10 Lydia Wellington, deliziosa), con cui gioca e si diverte, Madonna Capuleti (nella recita del 10 Marianna Barabas, qualcosa non ci ha convinto), il gran numero di amiche, che, insieme ai loro partner, almeno nella recita del 10 non sono stati impeccabili; quanto meno nelle prime tre scene, la chiusura delle posizioni non è stata all’unisono (come dovrebbe), frazioni di secondo certo, ma stiamo recensendo una tra le più note compagnie a livello mondiale. Le parti mirabili della coreografia di Maillot, oltre l’originalità di tutta la storia (scenografia compresa), sono quelle dedicate a Giulietta, al passo a due con l’amato, alla morte dei due, non provocata dal veleno, ma da una poetica fine (per quanto la morte lo possa essere), ideata dal coreografo che non si può descrivere, ma solo vedere. Romeo (Jérôme Tisserand, perfetto giovane uomo disorientato dal vero amore) e Katrin Schrader nella parte di Giulietta (ottima tecnica, linee pulite, braccia bellissime, grande espressività, decisamente la protagonista), nel loro candore, nella sfrontatezza della loro giovinezza, nello stare sperimentando un amore assoluto al cui confronto non esiste più nulla, ci ricordano i nostri amori adolescenziali, quelli perduti.
