FIRENZE. A parte qualche piccola impercettibile defaillance di slang, con il fiorentino, Cristiana Capotondi, trasteverina doc, anche se di buona famiglia, quindi, non popolana, se la cava benissimo e il popolo del Teatro Rifredi, soprattutto femminile, quello che l’ha applaudita ieri e che lo farà, senza ombra di dubbio, anche stasera e poi domani, domenica 2 febbraio, alle 16,30, nelle due repliche, le ha consegnato la pergamena con la quale, d’ora in avanti, dopo questo debutto, pur continuando a masticare films e serie televisive, che l’hanno catapultata al successo, a teatro nessuno potrà dirle di essere una portoghese e men che mai una raccomandata. Non tanto per l’idea, virtualmente straordinaria, della fiaba in video chiamata alla figlia piccola che non vuole addormentarsi, quanto per la sua versatilità; è chimicamente gradevole, Cristiana Capotondi, caruccissima, come si sarà sentito dire chissà quante volte ai tempi del Liceo, con quel visino angelico, di eterna bambina, un corpo disegnato con cura, anche senza eccessi e quei due dolcissimi bottoncini al posto del seno. E poi, è simpatica, forse per la consapevolezza di aver preso, tra audacia e fortuna, il treno giusto, al momento giusto e alla Stazione ideale. Con La Vittoria è la balia dei vinti, però, scritto da Marco Bonini, musicato da Jonis Bascir e prodotto da Stefano Francioni Produzioni, si poteva essere un po’ più incisivi, meno simpatici e più dolorosi. La storia, vera, è quella della nobildonna Vittoria, fiorentina doc, che in un rifugio sotterraneo di Palazzo Pitti, il 25 settembre del 1943, allatta, per inderogabili esigenze, i due gemelli della sua tata, quella che, anni prima è stata la balia da latte dei suoi primi tre figli, una robusta signora del bellunese, che per la paura dei bombardamenti che stanno effettuando trentasei aerei Wellington, della Raf, in missione per radere al suolo la Stazione ferroviaria di Campo di Marte, snodo vitale per i rifornimenti delle truppe tedesche, perde improvvisamente il latte dal seno. L’unica in grado di garantirle la missione materna è donna Vittoria, che sta, a sua volta, allattando la sua piccola, la nonna della protagonista, la bisnonna della bambina in video chiamata. Ha deciso di allattarla perché ha saputo, da una rivista francese di cui non ricorda il nome, che allattare i propri figli, unito a particolari unguenti, equivale a ingrossare, di due, tre taglie, il proprio seno, cosa che la perseguita dai tempi della scuola, nei confronti della sua amica bella come lei, Nina, che però, ha delle tette ben turgide. Cristiana Capotondi, per scelta sua e del suo staff, ha deciso che, per questo suo debutto, avrebbe fatto volentieri a meno di tutti i coprotagonisti: di Nina, della sua balia bellunese, e del cuoco del Palazzo, un comunistaccio che la provoca continuamente, durante quei giorni drammatici della seconda guerra mondiale. Per questo, la caruccissima trasteverina, si è messa all’anima di imparare il fiorentino (a pieni voti), il toscano della costa (un sei striminzito) e il bellunese (che somiglia più a un friulano, ma questi son dettagli), agitandosi su un palcoscenico bianco latte dove si stagliano, in successione, i disegni dei personaggi della novella, i pregiati ricami di Palazzo Pitti, le ombre dei Wellington inglesi e i rumori, assordanti e tremendi, delle sirene e delle bombe lasciate cadere su Firenze, quelle che prima di distruggere la stazione ferroviaria di Campo di Marte, seminarono morte e panico per migliaia di inermi fiorentini. Era su questi frangenti umani, per i quali la guerra non è mai una soluzione, ma sempre e soltanto una rovina, una catastrofe, una carneficina, una negazione dell’amore e della vita e soprattutto che al cospetto delle difficoltà, il colore della pelle, il censo e la ricchezza non contano niente, che si sarebbe potuto giocare con molto più coraggio, trasformando un’innocentissima fiaba in un messaggio politico. Ma Cristiana Capotondi sarebbe stata in grado di supportare e sopportare quel peso attoriale? Chissà. Basta non aver fretta; ci saranno, per lei, ci auguriamo e le auguriamo, nuove occasioni. Anche se con il Teatro si guadagna molto meno che con il Cinema e la Televisione; ma la gioia, quando si centra il bersaglio, vale doppia, perché il pubblico te la risputa subito in faccia, un attimo dopo, con tutti gli interessi.
