PRATO. Ancora buio, sul palco; un’altra scenografia inesistente, con la voce gergale di un napoletano antico e sorpassato che sembra arrivare da un angolo nascosto e incunearsi tra il pubblico, che rovescia la tragedia e rende, agli attori, risate figlie di un divertimento osceno, crasso, bohemien. Il corpo e i suoi movimenti accendono la luce, perché il Re, Re Chicchinella, Re Carlo III d’Angiò, Re di Sicilia e di Napoli, Principe di Giugliano, Conte d’Orleans, Visconte d’Avignon e di Forcalquier, Principe di Portici Bellavista, Re d’Albania, principe di Valenzia e Re titolare di Costantinopoli è un uomo posseduto da una gallina, pericolosamente utilizzata per pulirsi il culo dopo aver defecato ma che invece, ancora viva, si è intrufolata nelle sue viscere divorandolo, costringendolo al digiuno, fino alla morte, ma dotandolo della primizia di covare un uovo d’oro al giorno. E per questo, tutta la sua coorte, dalla moglie (Annamaria Palomba) alla figlia (Angelica Bifano), a tutti i paggi e damigelle al seguito (Davide e Simone Mazzella, Stephanie Taillendier, Viola Carinci, Davide Celona, Roberto Galbo, Enrico Lodovisi, Yannick Lomboto, Samule Salamone, Marta Zollet e Odette Lodovisi), in una reggia solo immaginaria e immaginata, ma tetra e fatiscente, fingono amore, devozione e dedizione, ma solo in attesa della covata quotidiana, quella che da loro, indistintamente, ricchezza e felicità. Emma Dante, che ha scritto, diretto, allestito e scenografato questo libero adattamento da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, terza e ultima trilogia dopo Pupo di zucchero e La scortecata, si affida ancora una volta a quell’adone poliforme e cangiante del marito, Carmine Maringola, che sprigiona un’altra sontuosa interpretazione, sfoderando una plastica fisicità, impreziosita dalla meravigliosa ridicolezza del fasto cortigiano alle prese con l’improbabile estrazione della gallina dal suo tergo. Le lacrime, naturali, incontrollabili, bollenti che sono scaturite (e noi ne siamo stati spettatori e interpreti orgogliosi), inesorabilmente, durante la rappresentazione di Carnezzeria, Le sorelle Macaluso e Misericordia, sono da tempo sostituite dalla lirica satirica e onirica medievale delle nuove scritture, come se la mestizia e il vano e irrisolto tentativo di rendere dignità agli ultimi dovessero essere sostituite dalla metafora della solitudine dei primi, rispettati e esaltati solo in virtù delle loro ricchezze. Che perdono, tra l’altro, tutto il loro fascino regale quando il loro fisico statuario viene comandato, gonfiato e deformato da una gallina che si è impossessata della loro vita, delle loro attività vitali, sacrificandoli e mortificandoli e concedendo loro, come ultimo desiderio culinario, la consumazione del lauto pasto di un’oliva e una fetta biscottata prima della morte, avvolta dalla medesima gonna con la quale per l’intera rappresentazione Re Chicchinella ha subito le disgustose attenzioni di tutta la sua coorte. Un’esequie funebre apocrifa, visto che il Re si smaterializza e si reincarna proprio nella gallina dalle uova d’oro che ne ha decretato la fine, la morte, un’ingenerosa e paradossale metempsicosi che trasforma il funerale in una festa, quando al posto della bara appare, nell’ultimo buio totale di sala, una gallina, in pelle e piume, che becchetta quel che di commestibile è rimasto sul palcoscenico, trasformando le inconsolabili lacrime dei presenti nell’incontenibile gioia di avere ancora, nella Reggia, la loro fortuna, viva, vegeta e capace di continuare a sfornare e fornire le preziose covate. Un’opera lirica minore, ma barocca; un ridicolo e sguaiato balletto, ma corale, unanime; un attacco feroce e senza esclusioni di colpi alla vacuità e alla falsità dei rapporti familiari, prima che interpersonali; un’ora di Teatro (siamo al Metastasio, a Prato: si replica stasera, alle 19,30 e domani, 16 febbraio, alle ore 16) di chirurgica perfezione attoriale, una gemma recitativa che la superproduzione che l’ha garantita sta traghettando in giro per l’Europa, una magnifica esportazione culturale di scritti centenari impolverati ma salvati e riproposti da Emma Dante, patrimonio femminile artistico dell’umanità.
