PRATO. Chissà per quale motivo si ritrovino lì, l’uno accanto all’altro, incastonati in due prestigiose cornici e all’interno di un museo dove riposano, eternamente, colleghi decisamente più nobili e soprattutto con nomi e cognomi ben definiti, rispetto al loro anonimato. Ma esserci – anche senza sapere in virtù di cosa o di quali meriti – è sempre meglio che non esserci e allora, visto che lì dovranno trascorrere il resto di tutti i loro giorni, Enzo Vetrano e Stefano Randisi - i due santi anonimi ai quali alcuni visitatori, comunque, si raccomandano -, ogni tanto, di notte, quando si spengono le luci del museo e dentro non rimane proprio nessuno, si materializzano, (ri)prendono vita ed escono dalle loro cornici e, dopo essersi sgranchiti gambe e braccia, iniziano a colloquiare, accomodandosi di fronte ai loro quadri, approfittando della panca in legno davanti posizionata e che serve ai visitatori per rivolger loro le loro litanie. Ieri sera (e così sarà tutte le sere, Ognissanti, al Fabbricone di Prato fino a domenica pomeriggio prossima, 2 marzo), i due illustri anonimi hanno deciso di uccidere il tempo chiedendosi, ma senza esigere risposte, per quale motivo abbiano ricevuto la grazia di poter trascorrere lì, in quel posto tanto prestigioso e popolato da primizie del sacrificio e della santità, la loro eternità. Enzo Vetrano rivendica le proprie origini, umili, vero, ma dignitosissime ed è fortemente tentato di applicare, sotto la sua effige, una targhetta che ne ricordi nome, cognome, provenienza e professione. Stefano Randisi, invece, nonostante sappia e ricordi perfettamente chi sia stato, da dove sia venuto e cosa abbia fatto nella vita, accetta di buon grado quell’immeritata assunzione nel cielo dei santi e consiglia l’amico di parete a fare altrettanto. Ma cosa vuol dire? Sabrina Petyx, logopedista, scrittrice, autrice e drammaturga, autrice del testo scritto appositamente per i due vecchi fratelli di teatro siciliano che lo hanno accolto a braccia aperte, sposandone ogni fotogramma fino al punto di decidere di portarlo in scena, curandone, personalmente, regia, drammaturgia e interpretazione, si è affidata alla antica professionalità dei due saltimbanchi per riproporre un testo minimalista, apparentemente lontano da ogni ragione e contesto, per ribadire il concetto della familiarità degli usi comuni, che sono quelli che nel tempo fanno la storia, che non si può riscrivere, soprattutto se a mettere nero su bianco siano stati i vincitori. E anche quei due santi anonimi, nel loro piccolo introvabile e forse inesistente passato, chissà per quale balsana coincidenza si ritrovano beatificati in un centro specialistico di santità, in un museo siciliano dove ogni giorno, numerosi pellegrini in cerca di grazia e fortune anche a loro rivolgono le loro raccomandazioni. Ma non c’è da stupirsi. Pensate a cosa la storia, quella con la s minuscola, naturalmente, sta riservando a Silvio Berlusconi, salvato dalla Giustizia con la prescrizione e con il tentativo di successiva beatificazione all’aeroporto milanese e cosa potrà riservare a Daniela Santanchè. Non è da escludere, che più avanti, in qualche museo, forse non in Sicilia, ma nel milanese o nel cuneese, i due vecchi compagni politici si possano ritrovare, per l’eternità, l’uno al fianco dell’altra, beatificati senza giusta causa. Del resto, a Sant’Apollinare, per molti anni, per volere del Cardinale di Roma, Ugo Poletti, ha trovato conforto eterno, fino a provvida dissepoltura, Enrico De Pedis, meglio conosciuto, nella malavita romana della Banda del Magliana, con lo pseudonimo di Renatino. Sorge il dubbio – a noi è sorto dai nostri primi vagiti - che la Chiesa, nel tempo, abbia distribuito – e continui a farlo – troppe indebite beatificazioni.
