PRATO. L’unico sopravvissuto al terremoto della decadenza borghese sembra essere il maggiordomo, addirittura escluso dal quadretto/ricordo, quello che da silente osservatore serve a madame e monsieur, per l’intero party, tutto quello di cui quegli otto detestabili arricchiti, tutti muniti di cacchina sotto il naso, totalmente e letteralmente licenziosi, hanno bisogno: champagne, coca, crac, botulino usa e getta e la sicurezza che in quel giardino nessun occhio indiscreto possa avere accesso durante le loro esagerazioni. Stile La grande abbuffata di Marco Ferreri, tanto per intenderci, del 1973, anche se senza intenti suicidi, ma anche e soprattutto strizzando l’occhio alla regina, tra le pellicole, del Party più sfrassolato della storia, quello a Hollywood, pellicola del 1968, uno dei capolavori di Peter Sellers e con un’equiparazione alla meno datata e, indebitamente strapremiata, La Grande bellezza, di Paolo Sorrentino, non foss’altro per la scelta di inserire, nella colonna sonora della rappresentazione, il tormentone trash dell’icona Raffaella Carrà, quello di A far l’amore comincia tu, ormai sistematicamente utilizzato ogni volta che ci si trovi a dover melodizzare un peccaminoso e lussurioso contesto borderline. L’idea, tanto per intenderci, non è originalissima, anche se fino a ora l’abbiamo avvicinato al mondo della cinematografia, ma per il Teatro avrebbe potuto essere ideale. Il congiuntivo è d’obbligo perché non si ride quanto si sarebbe voluto, nonostante i nove protagonisti (Benjamin Bernard, Stéfania Brannetti, Grégory Corre, Carole Fages, Matthieu Lemeunier, Fabrice Peineau e Hélène Risterucci, Frederic Ruiz, Charlotte Saliou, il maggiordomo e gli invitati al Garden Party, in scena al Metastasio di Prato, con replica stasera e domani, domenica 23 marzo, nel pomeriggio), diretti da Alexandre Pavlata, con numerose coproduzioni, tutte francesi, che hanno collaborato alla promozione della rappresentazione della Compagnie N°8 non sbaglino un atomo del percorso spettacolare tra l’arrivo nel giardino del peccato e la foto del gruppo dei debosciati al termine della festa. Il parlese usato nelle conversazioni, oltre a essere indispensabile (non sappiamo, tra gli spettatori pratesi, in quanti conoscano il francese), è molto funzionale; rende perfettamente l’idea della pochezza dei contenuti ed esaspera, nella dovuta maniera, l’intento sbrigativo e collettivo dei partecipanti: esagerare, lasciandosi andare tra una sessualità ibrida e l’assunzione di tutto ciò che ne faciliti l’approccio e la concessione. In questo giardino della festa alle porte di Parigi, ma consumato nel pieno centro storico di Prato, ci sono anche armi: pistole, fucili, addirittura un bazooka. Serviranno alla caccia di non si sa quale bestia feroce, forse di innocentissime volpi, ma tutti si augurano che ci scappi il morto, per un tragico e fatale incidente, che renderebbe la festa una vera e propria figata. Insomma, una buonissima occasione, suffragata, è doveroso precisarlo, dalla bravura e dalla dimestichezza di tutti i protagonisti, abili, disinvolti e divertenti nell’offrire saggi acrobatici di danza, gestualità circensi e paradossali movimenti clowneschi, che non arriva però diretta e diritta alle cellule celebrali del divertimento e che non produce quella carica di adrenalina della quale tutti gli spettatori si erano armati per poterla scaricare, in platea, tra fragorose risate.
