PISTOIA. Quando è rimasto solo l’accendino acceso a far luce, poca, ma tanta, sul palcoscenico, siamo stati i primi ad applaudire e lo abbiamo fatto con il fragore e la convinzione di aver visto una bella tragicommedia contemporanea di una vecchia coppia di sposi superata e vinta da ogni avversità. E invece, la rappresentazione, in scena al Funaro di Pistoia, La vacanza dei signori Lagonìa non era ancora terminata. Perché Marisa (Francesco Colella) e Ferdinando (Giovanni Ludeno), moglie e marito, rinunciano al tragico suicidio e tentano l’ultima spes: la benzina non utilizzata per darsi alle fiamme e risparmiata nella tanica, la versano nel motore di una vecchia carretta ferma, senza padroni, poco più in là sulla spiaggia di Sellia (la località è immaginata, visto che donna Marisa parla un catanzarese stretto); con questa tenteranno il controesodo verso le coste africane, dalle quali, puntualmente, sistematicamente e quotidianamente, fuggono in migliaia per approdare laddove i coniugi Lagonìa, dopo una vita di sacrifici, rinunce e impercettibili soddisfazioni, non sono riusciti a costruirsi nemmeno lo straccio di una dignitosa vecchiaia. La pensione non basta e le rate del mutuo della casa non pagate hanno innescato il perfido meccanismo dello sfratto. Marisa e Ferdinando, allora, dopo aver lasciato in perfetto ordine la piccola abitazione che non sono riusciti a mantenersi, decidono di andare a vivere e morire l’ultimo giorno della loro vita coniugale sulla costa del Mar Jonio (i catanzaresi non vanno sul Tirreno), dove, in una giornata particolare, vedranno un gabbiano morire d’infarto, ricorderanno la loro figlia Natasha morta giovanissima e constateranno la somiglianza di una nuvola a un coniglio. La dose comica, in un quadro sociale tanto drammatico quanto reale, era già stata abbondantemente soddisfatta; la signora Lagonia, infatti, ormai gonfia, deforme e inferma, continua a essere quella moglie adorabilmente dispotica nei confronti del marito che a sua volta, oltre che a esprimersi soltanto a monosillabi (Giovanni Ludeno è napoletano; con il calabrese, scommettiamo, avrebbe grosse difficoltà), salvo liberarsi nell’interpretazione canora di una leggendaria canzone di Gianni Morandi, e constatare il totale fallimento esistenziale, vive esclusivamente di pensieri e immagini, ricordando, ma solo chiudendo gli occhi, la bellezza della propria consorte, quando era giovane, sana, affascinante. Resta, innegabile, la potenza espressiva della rappresentazione, la forza e il coraggio dell'azione, l'inesorabilità della constatazione, la scelta, meravigliosa, di affidare a un brano minore di Pino Daniele l’apertura dello spettacolo, ma ribadiamo: avremmo voluto che la commedia finisse lì, immaginando i due corpi carbonizzati scoperti, all’alba del giorno successivo, da qualcuno dei pochi bagnanti che popolano, con estrema parsimonia, la costa jonica della Calabria. E invece, lo spettacolo di Teatrodilina, prodotto dalla Compagnia Lombardi/Tiezzi, per la regia di Francesco Colella, primo appuntamento della stagione 2025-26 al Funaro firmata Lisa Cantini, non aveva ancora esaurito le immagini; la piccola postilla, che ha reso, ahinoi, all’intera sala il buonumore, ha voluto anche essere un messaggio al contrario sull’accoglienza, alimentata dal fatto che la poca benzina risparmiata per l’abortito doppio suicidio non basterà ai due vecchi sposi per giungere fino in Tunisia, ma finirà nel bel mezzo del Mediterraneo, forse in acque internazionali, sulla quale bisognerebbe imbastire una lunga discussione che esula, e parecchio, dal contesto teatrale di una maiuscola doppia interpretazione.

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