SAPEVAMO già tutto, ma distanza di dieci anni dalla sua scomparsa, è stato bello, doveroso, utile e commovente ricordarlo così, Immortale. Ieri, oggi e domani, lunedì 6 gennaio, in alcune sale cinematografiche sarà proiettato il docufilm Nero a metà, l’album spartiacque della carriera discografica di Pino Daniele, il terzo della sua neonata carriera, quello con il quale, al di là della dedica all’amico prematuramente scomparso, Mario Musella (figlio della seconda guerra mondiale, con padre americano di colore), cantante degli Showmen, gruppo storico partenopeo che fu inesauribile fonte di ispirazione artistica, il bluesman di Porto, quartiere di Napoli centrale, passò il confine cittadino mostrando, alla frontiera, il suo passaporto culturale, strumentale, politico e musicale. A parlare di lui, del poeta musicista napoletano (chiamarlo cantautore equivarrebbe a catalogarlo in quella ristretta schiera artistica) sono tutti, quasi tutti, quelli che conobbero e condivisero le aspirazioni e le ambizioni artistiche di Pino Daniele fino a quel 1980, l’anno di pubblicazione di Nero a metà. A fare da Cicerone, o Caronte, scegliete voi, per questa pellicola diretta da Marco Spagnoli, c’è Stefano Senardi, il discografico che propose e ottenne dalla Emi la firma del contratto di quell’operazione musicale che cambiò, per sempre, la vita del menestrello napoletano. Nel documentario non c’è spazio per le vicissitudini personali, racconti leggendari, primizie adolescenziali, né per quello che succederà dopo, dal successo oceanico fino alla morte prematura. La ricerca si muove unicamente attorno a quell’album, a quegli anni, a cosa avrebbe potuto rappresentare e rappresentò. Ci sono le voci dei colleghi, naturalmente, quelli più stretti, che divisero e condivisero con Pino Daniele la registrazione di quel meraviglioso 33 giri e poi, l’anno dopo, nel 1981, a settembre, quel concerto memorabile in piazza del Plebiscito, dove 200.000 napoletani in cerca di riscatto dopo il devastante terremoto dell’anno precedente e dopo secoli di ghettizzazione elessero Re, delegandolo come portavoce ufficiale della loro città, il loro, da quel giorno nostro, Pino Daniele. C’è il ricordo, teatrale e pittorico, di Tullio De Piscopo; quello cinematografico, sotto i murales di Maradona, di James Senese; la memoria poetica, sul lungomare di Mergellina, di Enzo Gragnaniello; Enzo Avitabile, invece, sottolinea l’aspetto filosofico e politico della strumentazione dei territori; Gigi De Rienzo, invece, parla di magia, sul filo del rasoio tra storia e futuro; Tony Esposito racconta e ricorda il lato burbero e inaccessibile di Pino; a Petra Montecorvino invece, l’onore di ricordare di essere una tra le poche a essere stata eletta portavoce ufficiale del suo modo di cantare e a Teresa De Sio quello di ricordarne l’operazione di internazionalizzazione. Nel documentario trovano spazio, parole e musica anche alcune immagini di repertorio con l’altro Immortale, Massimo Troisi, anch'egli predestinato a volare in modo supersonico sul successo, come se sapesse che non avrebbe avuto tutto il tempo che desiderava, e quel duetto in ciabatte nella sua stanza da letto per le ultime correzioni di Quando; Cristina Donadio, la boss spietata e sanguinaria di Gomorra, che ricorda come i dischi di Pino Daniele, e in particolare Nero a metà, rappresentarono, all’epoca, un salvacondotto indispensabile per tutti gli artisti napoletani; Fausta Vetere, una delle voci più autorevoli di Nuova Compagnia di Canto Popolare, spettatrice privilegiata dell’ascesa, nell’olimpo, di quel meraviglioso predestinato a cui nessuno osò non credere; Gianni Minà, Carlo Massarini, Gino Castaldo, tre giornalisti e tre modi diversi di fare giornalismo che, ognuno nel proprio regno professionale, non ha mai potuto e voluto dubitare della straordinaria capacità di Pino Daniele di coniugare la storica poesia napoletana, fino ad allora sodalizzata con la tarantella, per farla risorgere e ristrumentarla con il Blues, il Rock, il Jazz, la BossaNova e il Funk, attraverso un’operazione, tanto naturale, quanto rivoluzionaria, di trasparenza e verità: l’orgoglio napoletano che non fa a meno di confrontarsi e riconoscersi, seppur combattendoli, con tutti quegli aspetti caratteristici di una città che spesso si crogiola, fino a vantarsene, anche e sopratrtutto sui propri difetti. È la summa del ricordo, bello e interessante, forse il più originale dell’intera registrazione, di Miriam Candurro, attrice napoletana, che nasceva, pensate, nello stesso anno in cui Nero a metà vedeva la luce. Sul grande schermo, dunque, nulla della sua infanzia, alcuna immagine di concerti ed esibizioni, nulla degli artisti con i quali, inevitabilmente e inesorabilmente, Pino Daniele ebbe a che fare da Nero a metà in poi, il Gotha della worldmuisc. Nel cuore degli spettatori, e noi compresi per antonomasia, in compenso, la memoria di quell’album che imparammo subito a memoria e che non dimenticheremo. Mai.

 

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