PRATO. L’eternità di certe idee è un’arma a doppio taglio, soprattutto quando si è in vena di rileggerle. Valter Malosti, però, nella circostanza specifica, prodotta dal TPE, Carcano e Lugano in scena, quella de Il misantropo (al Fabbricone di Prato fino a domenica 16 febbraio), decontestualizza, prudentemente e intelligentemente, Molière e trasporta ai giorni nostri la crisi esistenziale e nichilista, pura e corrotta, intransigente e incline ai più aberranti compromessi amorosi, di Alceste (in versione Harvey Keitel, quella di Pulp Fiction). La scenografia è un semplice ring, senza corde, o una piattaforma di una discoteca, nella quale e dalla quale si può entrare e uscire in libertà e ai cui lati ci sono otto sedie, sulle quali siedono rispettivamente i protagonisti della rappresentazione, anni ’70, stile juke-box, in attesa della canzone che li convinca e li spinga a salire in pista. Da una parte, accanto al protagonista, il misantropico regista, le sue tre donne: Célimène (Anna Della Rosa), Arsinoé (Sara Bertelà) ed Eliante (Roberta Lanave);

dall’altra, il suo amico Philinte (Paolo Giangrasso), il suo rivale, d’amore e di versi, Oronte (Edoardo Ribatto), che prima lo decanta e poi lo trascina in tribunale e i due marchesi, strafatti d’acido e di deliri di onnipotenza, Clitandro (Matteo Baiardi) e Acaste (Marcello Spinetta), stuzzicati dalla provocante Célimène e disposti a tutto, noncuranti degli altrui sentimenti, pur di possederla, almeno per una volta. In questo Karaoke di incontri, intrecci, seduzioni, ammiccamenti, dichiarazioni, deliri, la macchina quadrata, anziché circolare, della rappresentazione, trasporta le vicende reali del ‘600 francese in uno spaccato meneghino anni ’80, dove l’incauto, stanco, disgustato Alceste preferisce immolarsi al patibolo dell’ingiustizia e compiere così la propria Odissea, anziché provare, subdolamente, ad aggirarla, rifiutandosi di consegnarsi alla forza di alcuni amici influenti o al rigore giurisdizionale di un avvocato e declinando ogni sua ragione morale e politica all’amore, malato, perverso, ricattatorio, possessivo offerto alla sua giovane compagna, fatalmente attratta dall’insubordinazione rivoluzionaria dell’artista che la desidera, ma anche puerilmente distratta dal corteggiamento dei giovani, facoltosi suoi coetanei. Tutte le sollecitazioni sgrammaticate, ma sintoniche, dello spettacolo, adattato dal regista in collaborazione con Fabrizio Sinisi, sono la felice chiave di lettura di questo ennesimo riadattamento di uno dei testi più rappresentati al mondo. Al centro della scena, la nausea generazionale sofferta dal protagonista, che è quella che si può tranquillamente rintracciare nei falsi rapporti che regolano tanto gli equilibri sociali quanto le amicizie contemporanee. Sullo sfondo, la malattia, millenaria, dei rapporti amorosi, quelli che conducono, inesorabilmente, nella migliore delle ipotesi, all’alienazione, salvo sconfinare in azioni di cruenta indignazione. La macchina dello spettacolo si muove lungo il binario di un frenetico, ma ordinato, viavai; i vistosi e sgargianti disco/abbigliamenti maschili, che si sposano perfettamente con quelli, da sera e da notte, con i quali si vestono e spogliano le protagoniste (al Piper), sono il condimento di questa ossessiva inquietudine di Alceste, che una volta constatata la sua totale impossibilità a relazionarsi con Célimène che è diventato, in un supersonico sfinimento personale, il suo unico universo abitabile e perse, per ostinazione compulsiva, le altre due possibilità femminili offertegli da Arsinoé ed Eliante, indossa la maschera di un primate e osserva, non visto, quello che succede, lasciando che quello spicchio di mondo che credeva gli appartenesse e nel quale aveva praticamente vissuto la propria esistenza si sgretoli in un batter di ciglia e termini la propria rovinosa discesa negli inferi senza provare a frenarne la corsa o a deviarne la traiettoria. Il trash che poi incombe, ammantando tutta la scena, tanto sui vestiti, quanto sulle conversazioni, è la tragica confezione di un regalo/cavallo di Troia che l’umanità continua a ricevere, offrendogli accoglienza e ospitalità sadomaso all’interno delle proprie mura domestiche.

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