FIRENZE. Di come siano andate veramente le cose la notte del 31 agosto del 1997, a Parigi, quando Lady Diana e Dodi Al Fayed rimasero vittime di un tragico incidente stradale sotto il tunnel di Pont de l’Alma, a bordo della Mercedes guidata dall’autista del principe marrucchino che si sfracellò contro il tredicesimo pilastro della galleria, non è molto importante. Ma non per la nostra totale disaffezione e disinteresse ai Regni e alla vita dei miliardari, quanto nell’economia della recensione di Una tragedia reale, opera ultima di Giuseppe Patroni Griffi, diretta da Francesco Saponaro e prodotta da Tradizione e Turismo – Centro di Produzione teatrale Teatri Uniti. E siccome è semplicemente inimmaginabile lo stato di agitazione che arrivò, nel bel mezzo della notte, nella regale abitazione, quando la notizia della morte della Principessa iniziò a fare il giro del Mondo, sorridiamo gustosamente, ma non certo sadicamente, all’idea che le cose possano essere andate proprio come sono state rappresentate lo scorso fine settimana sul palco fiorentino del Teatro Florida,
con la Principessa (Lara Sansone), afflitta dalla vecchia, dalla rabbia e dai rimorsi, la sua inseparabile dama di compagnia Molly (Andrea Renzi), che non riesce a ottenere l’aumento di stipendio, la sorella Reale alcolizzata e ninfomane (Ingrid Sansone) e il primo ministro britannico (Luciano Saltarelli), che indossa anche gli abiti di un operaio di Liverpool che riesce a intrufolarsi a Palazzo, ma solo confondendo la casa reale con l’albergo reale, dove è stato invitato come vincitore di un premio televisivo. Non bastano le figure; occorre scendere nei dettagli. Sono tutte napoletane, ma non di via Toledo, dei quartieri Spagnoli: principessa, sorella e dama di compagnia, escluso il primo ministro, quello socialista, ma non l’operaio di Liverpool. E la dissacrazione, sottile e feroce come tutta la scuola di Patroni Griffi, prende satiricamente il sopravvento, ammantando l’intera tragedia con un velo di meraviglioso parossismo, quello che non abbandona mai l’intera rappresentazione, che nasce e muore sulle immagini televisive delle ultime ore parigine di Lady Diana e il suo nuovo amante Dody e i funerali, in mondovisione, ma che si sviluppa interamente nella camera da letto della Principessa, che dorme sotto il proprio mantello regale, sorvegliata dai suoi due cani posti agli angoli inferiori del letto, alle prese con i suoi inguaribili e letali acciacchi degli anni e quelli, ancor meno lenibili, scatenati dall’infedeltà della nuora. Squilla il telefono; siamo nel bel mezzo della notte, quella del 31 agosto 1997 e la Principessa chiama a squarciagola la sua Molly affinché risponda. Quello che succede dopo è l’impensabile parapiglia di una tragedia desiderata, ma non certo annunciata, con la solita fantastica altalena tra vita e morte, dolore e speranza, pianto e sorriso, con la Principessa che resta imprevedibilmente indifferente alla notizia, la dama di compagnia che, dopo aver metabolizzato la tragedia, pensa soltanto alla propria miserrima esistenza rinchiusa nella casa Reale, la sorella della Principessa, che arriva a Corte visibilmente alticcia e il Primo Ministro, l’unico a non perdere l’aplomb e soprattutto il politichese, visto e considerato che è socialista (i socialisti degli anni ’80 e ’90 hanno universalmente incarnato la sagoma dell’opportunismo). Scambi di accuse e rancori Reali in napoletano puro, inframezzati da qualche piccolo e timido slang anglosassone, con l’incursione, maestosa, dal backstage del Florida, della vecchia e curva Regina (ancora Ingrid Sansone), letteralmente rincoglionita e convinta che la causa di quell’improvviso invito a Corte sia per un matrimonio, anziché per un funerale. Peccato che a sorridere a tanta incommensurabile bravura si sia stati così in pochi.