di Pasquale Scalzi

PRATO. La libertà è una forma di disciplina… così recita un verso di Depressione caspica dei C.S.I. Ma l’uomo ha mai esercitato la libertà? Voglio dire facendo esercizi specifici, attività formative e di apprendimento morale attraverso la teoria, lo studio, la pratica, la ginnastica mentale e la disciplina, appunto, come a scuola? Direi di no. E quale occasione migliore per imparare a farlo ora? Cominciare a essere liberi davvero dico, finalmente. Ora che dobbiamo stare chiusi in casa, già, come in prigione. Esatto! Un detenuto-attore della Compagnia della Fortezza di Volterra una volta disse che si sentiva molto più libero da quando era in prigione rispetto a prima, quando stava fuori. Aveva ragione. In prigione il tuo tempo è veramente tuo. Non devi rendere conto a nessuno. Alla fine decidi e sai davvero cosa vuoi fare: leggere, ascoltare e fare musica, fare teatro, dipingere, scolpire, scrivere, osservare, sognare. Evviva la Santa Noia! E maledetta la Routine!La nostra è sempre stata solo un’illusione di libertà: sveglia coatta e innaturale la mattina, pasti insani e velenosi a tutte le ore, polveri sottili, inquinamenti mentali, relazioni social-patiche, lavori forzati in cui vai a lavorare per comprare la macchina per andare a lavorare, spendendo 8 ore del tuo tempo per campare (male) quelle che resta no.

Il lavoro nobilita l’uomo solo quando egli non lo percepisce come lavoro. E allora che tu sia il benvenuto piccolo essere virale. Perché è come dare il benvenuto a noi stessi, no? Fin troppo banale l’equazione: non siamo anche noi parassiti del Pianeta? Non contagiamo e contaminiamo tutto quello che ci circonda? Tu, piccolo pesce palla, sei la livella di Totò che ci sta citofonando come se noi fossimo spacciatori di falsi sensi di colpa. Caro piccolo grande eroe, tu porti la Corona e come la Grande Signora ci falci via senza alcuna sorta di distinzione: ricchi, poveri, bianchi, neri, giusti, malvagi, belli, brutti, giovani, meno giovani, santi e profani. Come dici? Meglio meno? E allora mettiamola sul piano biologico. Ipotesi n°1: l’uomo non è figlio di questa Mamma Natura e non è parte di questo mondo. Siamo alieni. E allora è come una storia d’amore: come inizia, così finisce. Abbiamo succhiato tutto quello che c’era da succhiare. Estinguiamoci. O ripartiamo e andiamo a colonizzare un altro pianeta da un’altra parte (ma non so se facciamo in tempo a mettere su un po’ di astronavi). Ipotesi n°2: l’uomo è figlio di questa Natura un po’ puttana. E allora non ci possiamo lamentare. Accettiamolo ‘sto destino. Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Evviva Sorella Entropia! L’essere minuscolo-pulviscolo è nostro Fratello. Ogni essere vivente, vegetale e animale (compreso l’uomo quindi), cresce, vive, agisce e muore per com’è stato programmato. Un esempio a caso: quello che chiamiamo inquinamento è un processo di trasformazione (vedi sopra) della Natura. L’uomo per vivere (secondo lui in modo migliore) ha bisogno della plastica, e per usarla prende il petrolio da sottoterra, lo trasforma, lo usa e poi lo sposta in superficie in mezzo agli oceani. Ma ci rimettono le altre specie! E allora? Chi se ne frega! Fa tutto parte della Natura tanto, no? Io non lo chiamerei inquinamento, ma mutazione. Evoluzione. E così tutto il resto. Caro uomino, accettalo, semplicemente. Non ti lamentare. Non c’è vita là dove la Natura non muta. Ripeto, del resto anche tu uomino sei un essere infinitamente piccolo, ma molto significante, sei un virus se vedi la nostra cara vecchia Terra come un elettrone che gira intorno al nucleo Sole dell’atomo Sistema Solare che farà parte di una molecola di una cellula di un essere infinitamente più grande, ma molto insignificante che alla fiera dell’Est mio padre comprò (e che da ora in poi chiameremo Dio per brevità e praticità, da non confondersi con Godot). Come? Potremmo ricominciare a credere in Dio? Ma fammi il piacere, Dio è morto. Scusate ora devo tornare sul divano a giocare alla Play; i miei amici mi stanno aspettando per l’ennesima dipartita. Il mio consiglio è di fare sempre attenzione a come si usano le parole, perché le parole sono importanti! Non per esprimere meglio un pensiero, ma per imparare a pensare meglio. La chiave sta nel Papà Tempo: come disse una volta il grande Maestro Munari, Albero: esplosione lentissima di un seme. (La foto, tagliata, è di Darragh Heir)

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