PRATO. Non vi spazientite se l’impatto ha tutto il sapore di un esercizio enigmistico attoriale, dove Silvia Gallerano è una e trina e Sonia Antinori, l’autrice e Daria Lippi, compendio generazionale, si intersecano tra di loro in una recita ginnica, sintonica, cameratesca. Del Naufragium lasciato in eredità ai figli della contestazione non se ne parla più, da tempo, ma gli effetti sono sotto gli occhi di tutti e il peggio, di quell’impegno forzoso, autocelebrativo, del tutto inefficace, incapace di fare i conti con la storia, dannoso, dunque, oltre che inutile, se non a lasciarci credere che fossimo i migliori (facciamo parte, seppur di striscio, di quella generazione, anzi, della sua coda più violenta), deve ancora venire: non fa una grinza. Le generazioni successive al ’68 prima e al ’77 poi si sono trovate nella merda, fino al collo, con genitori assenti, colpevoli, ma in modo adorabile, tanto da compiacersene, nella loro letale distrazione, di essere stati, per i propri pargoli, solo e soltanto icone inimitabili, montagne troppo alte da scalare. Certo, nelle nostre case, centinaia di libri, dischi, foto ricordi, poster, cartine e filtrini ovunque, con la presuntuosa certezza che i nostri figli avrebbero inesorabilmente e inevitabilmente fatto le stesse nostre cose.
La storia e la vita hanno invece preso ben altra piega e i nostri figli maldestramente indottrinati dai nostri slogan, commoventi e nichilisti, si sono trovati spiazzati. Qualcuno si è perso, senza trovarsi più; qualcuno, come Silvia Gallerano, ha deciso di chiedere conto al suo vecchio papà, che dopo aver fatto le barricate (con i mobili degli altri, tra l’altro), da qualche tempo frequenta i salotti, anche televisivi, nei quali si presenta con barba accuratamente incolta e vistosissimi foulards e dove sfoggia un’impressionante arte tuttologa. Il Metastasio di Prato ha deciso di esordire così, in questa stagione che definire strana è quasi eufemistico. E lo ha fatto in un così finemente ristrutturato Fabbricone, con poltroncine salmone di rara gradevolezza e comodità, che il pubblico di ieri sera, 8 ottobre (si replica oggi, alle 20,45, domani, alle 19,30 e domenica, alle 16,30), superata l’emozione di (ri)tornare a teatro, ha subito benedetto il Covid e le sue ferree ragioni di distanza/riservatezza, gustando, come mai prima, uno spettacolo tanto importante, autoprodotto in collaborazione con Fabrique Autonome des Acteurs, Officine Theatrikès Salento Ellada e Reset e che ha debuttato, proprio in casa, in prima nazionale, dopo un’anteprima milanese. Il nulla del Naufragium. Lo spettacolo, dopo essere riusciti a decifrare l’intreccio semantico e polifonico, è un meraviglioso assolo di un animale di rara bravura, Silvia Gallerano, che rimbalza, con perfetta armonia e naturalezza, dal teatro al cinema, conservando, intatte, tutte le sue caratteristiche. Camaleontica, si lancia, senza rincorsa, da un estremo all’altro delle generazione sottese dalla rappresentazione, da quegli anni ’70 dove rivoluzionare parve a tutti una necessità fino ai giorni nostri, dove sotto le macerie di quelle devastazioni i nostri figli non hanno trovato praticamente nulla, se non le nostre lettere scritte dal carcere, ma non di gramsciana memoria, conservate dai nostri genitori, vecchi, malati e non più in grado di sostituirci, quando eravamo impegnati in viaggi, dibattiti, fugaci, ripetuti e interminabili innamoramenti, quelli che hanno fatto saltare i cardini dei contratti matrimoniali e vilipeso l’amore vero. La nostra inconsistenza ha partorito il reflusso e i nostri figli ci si sono trovati impelagati, non sapendo più se sconfessare i loro genitori o provare a difenderli, con commoventi risultati, a oltranza. Molti di loro han preferito farsi un’idea personale, senza confidare negli scritti lasciati in eredità e senza lasciarsi contaminare dal nulla e mai che scandisce il tempo di queste generazioni. Ed è per questo che i nostri figli sono migliori.